Giovanni Verga
AGRICOLTURA SOSTENIBILE E BIOLOGICA
ECONOMIA AGRARIA E LEGISLAZIONE DI SETTORE AGRARIA E FORESTALE
Legislazione Forestale | Vincoli e opportunità
STEM E AGRICOLTURA
Le azioni si focalizzano su attività che, attraverso l’utilizzo dell’Internet of Things (IoT), dell’agrirobotica, e del Drone, permettano agli studenti di acquisire e gestire informazioniper realizzare un’agricoltura di precisione. Così, gli studenti, si avvicineranno sempre di più alle nuove tecnologie applicate in ambito agrario. Nei laboratori essi svilupperanno competenze sulla programmazione e sulla gestione dei sensori ambientali e altri strumenti di rilevazione, collaborando trasversalmente tra classi e materie. Mediante l’utilizzo di software dedicati e app, sarà possibile raccogliere informazioni sul benessere delle piantee valutare gli interventi necessari per il miglioramento delle colture, in un’ottica di uso razionale dei fattori produttivi e di gestione consapevole e rispettosa dell’agroecosistema.Gli studenti, con la guida del team di docenti impareranno a analizzare, valutare e risolvere problemi complessi relativi all’utilizzo di farmbot o agrobot applicati a innumerevolioperazioni colturali (monitoraggio in campo o in serra delle avversità, semina, trapianto, ecc.), e quindi scegliere come raggiungere una più elevata efficienza aziendale. Le STEMconsentiranno di cogliere capillarmente gli elementi di innovazione tecnologica e di formare figure professionali con competenze adeguate a quanto richiesto dal mercato del lavoro. Il tutto con un approccio interdisciplinare che svilupperà, tra le altre cose, il pensiero critico, la creatività. Infine gli studenti lavorando insieme in modo armonico edividendosi compiti e scadenze potenzieranno lo spirito di collaborazione superando anche i divari di genere.
aInternet of Things (IoT) e Agrirobotica
I Droni in Agricoltura
Italiano
LE OPERE
LE OPERERomanzi romantici e passionali1866: “Una peccatrice”1871: “Storia di una capinera”1873: “Eva”1875: “Tigre Reale”Opere veristeLe novelle (descrizione del vero)1874: “Nedda”. Tragica storia di una donna siciliana che vede morire di stenti tutti i suoi cari.1880: “Vita dei campi” (Rosso Malpelo)1883: “Novelle Rusticane” (La roba)I romanziIl ciclo “I Vinti”1881: “I Malavoglia”. Storia delle disgrazie di una famiglia di poveri pescatori.1889: “Mastro don Gesualdo”. Storia di un manovale arricchito che si eleva socialmente ma finisce solo e abbandonato.
La Roba
La novella La roba fa parte della raccolta Novelle rusticane pubblicata nel 1883. Il tema centrale è la Roba simbolo di benessere economico, di una ricchezza che non si misura in denaro ma in pascoli, terre, fattorie, animali.Mazzarò, il protagonista, è un personaggio statico, dall’impostazione strutturalmente quasi fiabesca, simbolo dell’alienazione completa in nome della roba. Un uomo intelligente ma rozzo, ricco proprietario terriero. Vive da uomo povero e lavora insieme ad altri braccianti per accumulare più roba possibile.Il dramma di Mazzarò, quello che lo porta alla disperazione, nasce dallo scontro con la natura, con gli eventi inevitabili come la vecchiaia e la morte, davanti alle quali la sua feroce ostinazione, la sua pazienza perseverante, il suo senso del sacrificio al limite dell’autolesionismo, nulla possono. Il racconto si chiude con la scena grottesca e disperata di Mazzarò che uccide a colpi di bastone il suo bestiame strillando : «Roba mia, vienitene con me!»La modernità de "La roba" sta nel ribadire quanto sia vuota la vita ed il cuore di chi ambisce ad accumulare beni senza mai averne a sufficienza, senza mai raggiungere uno stato di soddisfazione, trascurando le cose essenziali come la salute, la famiglia e la felicità
LA VITA
LA VITA1840: nasce da una famiglia di ricchi proprietari terrieri a Catania, dove frequenta la Facoltà di Legge, che abbandona per dedicarsi alla letteratura. 1865: si trasferisce a Firenze, allora capitale del Regno d'Italia, dove conosce Luigi Capuana il teorico del Verismo. Entra in contatto con ambienti ricco-borghesi e romanticismo.1872: si trasferisce a Milano, ricco centro culturale, qui aderisce al Verismo e scrive le opere più importanti.1893: ritorna a Catania e vive in completo isolamento.1922: muore.
AGRONOMIA DEL TERRITORIO AGRARIO E FORESTALE
L'importanza ecologica del bosco
ECOSISTEMA BOSCOUn ecosistema è, per definizione, l’insieme degli esseri viventi e non viventi che popolano un territorio, ed è caratterizzato da un equilibrio dinamico permanente.Il bosco è uno di questi sistemi, ed è formato da un numero di alberi ad alto fusto, arbusti ed erbe. Costituisce un importantissimo elemento di regolazione delle condizioni di vita sulla Terra, perché nei fatti si comporta come un’immensa pompa naturale, alimentata dall’energia del sole, che permette all'acqua di circolare sulla terra.Non solo: il bosco è un vero e proprio polmone, che aiuta a filtrare e rinnovare l’aria, fissando il carbonio contenuto nell’anidride carbonica e liberando in cambio l’ossigeno durante le ore diurne.A livello del suolo, dove arriva poca luce, nel bosco si trovano le piante da fiore, i muschi e i licheni in mezzo ad una lettiera di foglie popolate dai vari tipi di funghi decompositori.C'è poi quindi lo strato degli arbusti, che possono svilupparsi appieno solo se la morte di un albero apre un varco alla luce. Un po’ più su, ci sono gli alberi di media altezza e d’alto fusto. In corrispondenza di ogni strato, le condizioni particolari di umidità e di irradiazione solare creano degli habitat che vengono colonizzati da specie animali ben precise.SIMBIOSI, PARASSITISMO E PREDAZIONESimbiosi, parassitismo e predazione rendono il bosco più complesso ma anche più stabile.Il fungo e l’albero si scambiano sostanze: il fungo fornisce all’albero azoto e minerali, e la'albero ricambia con gli zuccheri prodotti grazie alla fotosintesi.I picchi permettono a numerosi uccelli cavernicoli di riprodursi all’interno delle cavità dei vecchi alberi. Il picchio nero consuma un incredibile nuemro di insetti per allevare la sua nidiata: circa 200000 insetti, 6 Kg. I picchi sono anche uccelli bioindicatori che permettono di misurare lo stato di salute degli alberi.All’interno del bosco gli scarti di temperatura sono più deboli che altrove, mentre nel sottobosco il vento è ridotto e l’umidità dell’aria favorisce la crescita degli alberi. Il terreno viene protetto dalle piogge e per questo non trascinato via dall’acqua, contrariamente a quanto succede nei suoli nudi. Il bosco perciò è il modo migliore per proteggere i versanti delle montagne.La scomparsa della copertura arborea porta con sé l’estinzione della maggior parte degli organismi vegetali e animali.Il bosco è un immenso e inesplorato serbatoio di sostanze chimico-naturali, il più importante laboratorio in cui i processi evolutivi fanno i loro esperimenti: distruggerlo vuol dire portare inevitabilmente all’impoverimento biologico del pianeta.
Le tecniche colturali tipiche della selvicoltura dell' alpicoltura
LA SELVICOLTURA
La selvicoltura in senso stretto viene di solito distinta in selvicoltura generale ed in selvicoltura speciale.La selvicoltura generale studia le relazioni intercorrenti tra il bosco e l'ambiente in cui esso vive, l'evoluzione della foresta, le modalità di impianto, la rinnovazione del bosco e l'uso del soprassuolo maturo.Nella selvicoltura speciale si studiano le esigenze ecologiche e le tecniche colturali delle singole specie arboree forestali.La selvicoltura va inoltre distinta dall'arboricoltura da legno, che si occupa delle piantagioni arboree industriali per fini commerciali.La selvicoltura dunque si basa sulle conoscenze scientifiche degli equilibri e delle caratteristiche degli ecosistemi forestali, naturali o creati dall'uomo, tanto che si può parlare di selvicoltura naturalistica, che si occupa della conservazione dell'ecosistema forestale per mantenerlo il più possibile simile a quelli naturali, subordinando allo scopo principale la quantità e qualità del prelievo di legname per usi commerciali; mentre si parlerà di selvicoltura agronomica riferendosi alla disciplina tecnica che cerca di conciliare le esigenze economico-produttive tendenti alla massimizzazione della resa in massa legnosa della foresta con le esigenze di mantenimento degli equilibri ecologici, geologici e ambientali del patrimonio boschivo.rigine e storia della selvicoltura[modifica | modifica wikitesto]La gestione dei boschi è stata sviluppata dall'uomo già in epoca preistorica. A tale periodo infatti risalgono le prime tracce di boschi gestiti a ceduo[3], ma numerose sono anche le attestazioni di gestioni di questo tipo sia in epoca classica, sia nel medioevo[4]. Sembra che già nel medioevo, inoltre, si usasse una sorta di taglio a scelta culturale, a fini solamente utilitaristici[5], nelle fustaie di tutta Europa. Tale pratica, all'epoca non regolamentata in alcun modo, prevedeva il prelievo esclusivo delle piante utili per l'uso del proprietario del fondo, non essendo ancora sviluppato un vero e proprio mercato del legname.Già nel XV e XVI secolo, a seguito dell'aumento di fabbisogno di legno, si registrano testimonianze di applicazioni di tagli rasi, con il rilascio di matricine o con successivi rimboschimenti artificiali. E' a partire da tale periodo storico che prende piede in tutta Europa la pratica, diffusa fino ai primi decenni del XX secolo, di procedere ad una sostituzione sistematica dei boschi di latifoglie (faggi e querce), con quelli di conifere (in particolare abete rosso, ma anche abete bianco e pino) di maggior valore tecnologico ed economico[4][6]. Al XVIII secolo risale l'inizio dell'applicazione dei tagli successivi in Germania, che prenderà particolare importanza nella gestione a fustaia delle faggete( nel 1713 Hans-Carl von Carlowitz pubblicò il primo trattato di selvicoltura: "Sylvicultura oeconomica", nel quale tra le altre cose teorizzò che non si dovesse asportare legna dai boschi più di quella che gli stessi fossero in grado di ricrescere).È solamente nel XIX secolo che, in Francia, vengono teorizzati i concetti base della selvicoltura naturalistica, ovvero che i boschi devono essere gestiti "imitando i processi della natura ed accelerandone la sua opera"[7]. Da questo momento verrà data sempre maggior importanza alla rinnovazione naturale, alla creazione di strutture stratificate e, se opportune, a formazioni forestali miste.Attualmente la selvicoltura naturalistica, in tutte le sue forme, sta diventando sempre più diffusa, andando gradualmente a sostituire l'applicazione dei tagli rasi con rinnovazione artificiale, ancora preponderanti in molte foreste del pianeta[8][9].Bosco (Bella, Basilicata)Bosco (Bella, Basilicata)La selvicoltura naturalistica[modifica | modifica wikitesto]Per selvicoltura naturalistica si intende quella serie di interventi colturali che favoriscono le dinamiche naturali del bosco.I punti chiave della selvicoltura naturalistica sono:rinnovazione naturale;biodiversità;sostenibilità;multifunzionalità del bosco;uso di specie autoctone.In particolare, selvicoltura naturalistica significa elasticità nell'uso delle tecniche colturali, in modo da rivolgersi caso per caso alle situazioni da gestire.Il primo grande teorico di questa selvicoltura è stato il tedesco Karl Gayer, che in un trattato del 1878 sottolinea l'importanza della stabilità del bosco e la diversità delle caratteristiche dello stesso, tali da comportare elasticità di trattamenti.Tuttavia una spinta decisiva a questa filosofia colturale è stata data sia dalle nuove visioni scientifiche dei primi del XX secolo, in particolare all'approccio ecosistemico (olistico) per quanto riguarda il bosco e in genere tutti gli elementi del territorio, visti come ecosistemi interagenti tra loro, sia da cause culturali, quali la sensibilità ai problemi ambientali sviluppata a partire dagli anni settanta, sia da cause contingenti: in Italia queste cause sono rappresentate dall'abbandono delle campagne a partire dagli anni sessanta durante il fenomeno dell'urbanizzazione con conseguente invasione del bosco negli ex pascoli e nelle aree prima coltivate, e all'abbandono della selvicoltura classica che ha innescato il ritorno della vegetazione forestale potenziale, nonché le dinamiche dei rimboschimenti fatti negli anni venti - settanta arrivati a maturazione.Oggi tutti questi fattori, e la sempre più sensibile vocazione alla naturalità dell'ambiente sostenuta dall'opinione pubblica hanno posto le basi per la selvicoltura naturalistica.
aL'APICOLTURA
Il miele viene utilizzato da circa 12.000 anni.Che venisse praticata la raccolta del miele in epoca preistorica è attestato dalla pittura rupestre della «cueva de la Araña» (la grotta del ragno) che si trova presso Valencia, in Spagna. Vi si vede un uomo appeso a delle liane che porta un paniere per contenere la raccolta, con la mano infilata in un tronco d'albero alla ricerca del favo di miele.Non si sa con precisione quando l'uomo imparò ad allevare le api. Tuttavia l'apicoltura era un'attività normale durante l'Antico Regno dell'Egitto, 2400 anni prima di Cristo: scene di raccolta e conservazione del miele sono raffigurate in rappresentazioni riportate alla luce nel tempio del re della V dinastia Niuserra a Abusir.Il primo apiario nacque probabilmente raccogliendo uno sciame allo stato selvatico. Più tardi, man mano che si padroneggiarono le tecniche di "accasamento" delle api, comparvero i primi alveari artificiali, fatti probabilmente di tronchi cavi o di scorza di sughero.Raccolta del miele nella pittura rupestre di Valencia Api in un gioiello di Malia (Creta, circa 1600 a.C.) Ape in un rilievo egizianoNella storia dell'apicoltura particolare importanza riveste l'arnia in cesta di paglia o di vimini, che veniva impermeabilizzata con una copertura in creta o in creta e sterco. In questo caso si richiama l'attenzione sull'uso greco di porre i cesti rovesciati verso l'alto con una serie di legnetti ed una copertura di pietra o di corteccia. In tale caso i favi venivano spesso costruiti dalle api appesi ai legni mobili posti superiormente e la sfasatura delle pareti, analoga a quella naturale dei favi, non provocava la saldatura alle pareti tipica altrimenti di questi “bugni villici”: erano le antesignane delle arnie moderne a favi mobili. Si afferma poi sicuramente un tipo di arnia o “bugno villico”, costituito da quattro assi poste a formare un parallelepipedo vagamente piramidale con un imbocco leggermente più piccolo rispetto alla parte terminale. Quest'ultima veniva chiusa da uno sportellino rimovibile. L'origine di tali ricoveri per le api si perde nei secoli e il loro utilizzo, in maniera quasi immutata, è continuato fino a qualche decina di anni fa. L'uso e l'allevamento delle api è comune a molte culture: da quella egizia, che li ha effigiati nelle decorazioni tombali, a quella greca e romana, che inseriva con sapienza il miele nella propria alimentazione, codificandone l'uso gastronomico. Virgilio, nelle “Georgiche” descrive le tecniche apistiche. Il miele è poi citato anche nelle religioni ebraiche e musulmane dove “fiumi di latte e miele ristoreranno i guerrieri morti valorosamente per la fede”. In tutta Europa, nel diradarsi della cortina che avvolge l'alto Medio Evo, troviamo gli evidenti segni di rinascita e razionalizzazione dell'agricoltura, tramite l'opera degli ordini religiosi monastici. Il binomio apicoltura e religione poi, per vari motivi, rimane sempre una costante fino ai nostri giorni. Non bisogna infatti dimenticare, ad esempio, che la cera vergine rappresentava la materia prima delle candele che rischiaravano i luoghi di culto (da alcuni decenni si utilizzano candele bianche in paraffina e stearina).Alla fine del Settecento risalgono alcuni trattati di Anton Janša. Nell'Ottocento, in tutto il mondo, il settore apistico registra un fermento nuovo, una storica rivoluzione. L'arnia in paglia con favi mobili di tipo greco aveva ispirato nel corso dei secoli alcuni sviluppi verso l'arnia razionale, ma si erano tutti arenati. Nel 1851 Lorenzo Langstroth fa proprie alcune esperienze precedenti ed inventa il favo mobile. Apre una strada. È tutto un pullulare di invenzioni, molte delle quali abortiscono o non vengono raccolte, ma altre determinano in pochi anni un'autentica rivoluzione, che porta all'arnia moderna. A differenza dell'arnia di antica concezione, la nuova struttura è costituita da un modulo base contenente favi mobili e un sistema modulare di melari, contenenti favetti, sempre mobili, per il periodo di raccolto. Ma le invenzioni non si limitano alle arnie: nel 1857 sono i fogli cerei, e nel 1865 lo smielatore centrifugo. Nasce la moderna apicoltura. Ci vorrà quasi un secolo però per soppiantare completamente i bugni villici e l'apicoltura di tipo più tradizionale.L'alveare[modifica | modifica wikitesto]La gestione di un alveare consiste soprattutto nel sorvegliarne lo sviluppo in funzione del periodo e delle condizioni ambientali.Una colonia di api è costituita da un'unica regina, da molte operaie (femmine sterili), da un piccolo numero di fuchi (maschi) e dalla covata (larve). Un alveare è composto da un'unica colonia o famiglia.Per riprodursi e sopravvivere, una colonia di api cerca di accumulare il massimo possibile di provviste durante la buona stagione, per poter passare l'inverno. La popolazione della colonia varia secondo le stagioni. È molto grande nei periodi in cui le risorse naturali sono abbondanti (da 30.000 a 70.000 individui), allo scopo di fare la maggiore raccolta possibile. D'inverno si riduce fino a scendere attorno ai 6.000 individui, per ridurre al minimo indispensabile il consumo delle provviste. La popolazione non può tuttavia scendere oltre un certo limite, giacché è quella che deve mantenere la temperatura all'interno dell'alveare e dovrà rilanciare la colonia in primavera.L'alveare divisibileL'arnia si può definire come l'unità abitativa costruita dall'apicoltore per accogliere una colonia di api. L'alveare è uno sciame di api all'interno di un'arnia. Un insieme di alveari costituisce un apiario.Favo.Nel XIX e nel XX secolo, l'approccio scientifico all'apicoltura e la ricerca in direzione di un'apicoltura razionale hanno consentito di mettere a punto degli alveari moderni, caratterizzati da favi mobili, di dimensioni precise e standardizzate.I favi mobili consentono di intervenire nell'alveare senza distruggerlo, sia allo scopo di effettuare controlli di tipo sanitario che allo scopo di raccolta dei prodotti dell'alveare. Costruiti dalle api, a uno a uno, possono essere facilmente estratti e rimessi a posto. Questi favi possono essere sia costruiti su telai preparati dall'apicoltore, sia sospesi a barre o barrette sulle quali l'apicoltore ha disposto degli abbozzi di favi. Esistono due grandi famiglie di alveari:quelle che crescono per elementi standard sovrapposti verticalmente, dette alveari divisibili;quelle che crescono per aggiunta di telai affiancati a quelli già sul posto, e sono gli alveari orizzontali.Le dimensioni degli alveari verticali variano in funzione del numero di elementi impilati, quelle orizzontali hanno sempre lo stesso aspetto, all'esterno, ma hanno all'interno spazio sufficiente per accogliere favi supplementari al momento della crescita della colonia.Le arnie portano spesso il nome del loro inventore.Quelle verticali a telaio più comuni in Francia sono le Dadant, Langstroth e Voirnot; la prima è la più presente in Europa, e la sua versione italiana, standardizzata nel 1932, e ancora oggi prevalente nell'apicoltura nazionale, sia pure con successive evoluzioni, si chiamò Italica-Carlini.Telaini LangstrothIl vero inventore del telaino era stato comunque il pastore americano Lorenzo Lorraine Langstroth, originario del Massachusetts, che nel 1851 aveva scoperto il passo d'ape o spazio d'ape, cioè quello spazio di ampiezza fissa (9, 5 mm) da lasciare tra coprifavo e portafavo e tra i montanti dei telaini, che era sufficiente e necessario perché le api non fissassero alla parete e al tetto i favi: nello spazio così lasciato libero le api non costruirono né favi né ponti, il telaio diventò veramente mobile, e non fu più necessario distruggere i favi per estrarne i prodotti.La scoperta di Langstroth fu determinante per tutti i modelli successivi di favi mobili.Gli alveari Warré e Climatstable sono anch'essi di tipo verticale, divisibili, ma utilizzano solo le barrette portafavo, senza fogli cerei di avvio, e sono destinati prevalentemente all'apicoltura ecologica.Tra gli alveari orizzontali a telaio vanno citati quelli messi a punto da De Layens e perfezionati da Jean Hurpin. Attualmente suscita vivo interesse, sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli sviluppati, l'alveare a barre portafavo, (hTBH) adatto alle regioni calde, e di basso costoAlveare divisibile a telaini mobiliL'alveare divisibile tipico è costituito da un numero variabile di casse impilate, aperte sopra e sotto.Questa pila poggia su un telaio sporgente da un lato a formare un balcone, detto telaio di volo. Questo balcone costituisce la porta d'accesso delle api.La prima cassa si chiama corpo dell'alveare. Esso costituisce il dominio proprio e privato delle api dove vivono e si sviluppano le larve: tutto ciò che vi viene deposto appartiene a loro, e contiene le provviste consumate dalle api e sufficienti a che la colonia possa svernare.Le casse successive sono i melari: qui le api depositano parte del miele ma sono queste il dominio dell'agricoltore, che egli toglie periodicamente per estrarre il miele e le rimette vuote.Il tutto è sormontato da un coperchio detto coprifavo e, per finire, da un tetto per riparare dalle intemperie.Il corpo e il melario contengono dei telaini sospesi verticalmente nei quali le api costruiscono i loro favi: i telaini come s'è detto sono mobili, e l'apicoltore può estrarli dall'alveare uno ad uno, in modo da sostituirli al bisogno, o cambiarli di alveare, o verificare lo stato della colonia. I vari modelli di alveare si distinguono per le dimensioni e il numero dei telaini.
aIl ruolo del verde ornamentale pubblico e privato
GESTIONE E VALORIZZAZIONE ATTIVITA' PRODUTTIVE DEL TERRITORIO E SOCIOLOGIA RURALE
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