door Emanuela Torrini 15 jaren geleden
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Catullo tendeva a reintepretare dei termini della tradizione latina arcaica per metterli in relazione a quei codici di valori che si stavano perdendo. Egli voleva che quei valori tornassero a risplendere ma per far sì che questo accadesse essi dovevano essere rappresentati in modo diverso poichè non era più possibile viverli pubblicamente ma solo in forma privata. Un termine caro a Catullo è l'"otium" (lo star fuori dagli affari), reinterpretato da lui come "l'amore" che, già per gli antichi, rappresentava un pericolo poichè sfugge alla ragione e sottrae l'individuo dalle responsabilità dello Stato facendo perdere lucidità e distogliendo da valori fondamentali quali l'amicizia e l'equilibrio verso sè stessi.
Erodoto sarà il primo che cercherà un elemento razionale nella sua ricerca, che evidenzia nel rapporto causa-effetto. La storia non è considerata da Erodoto come una semplice serie di avvenimenti che si susseguono nel tempo, ma come un insieme di fatti collegati fra loro da una rete di rapporti logici, complessa, ma comunque ben intelligibile.
I principi chiave su cui si fonda la metodologia erodotea sono:
Aκοή: ho sentito
Oψις: ho visto
γνώμη: ho ragionato
Erodoto dichiara quindi espressamente che lui ha un metodo e che i suoi racconti sono veridici. In realtà Erodoto accosta in maniera asistematica dati autentici a fatti palesemente fabulosi: il fine era quello di far divertire gli spettatori. Erodoto è quindi ancora a una via di mezzo fra il logografo e lo storico: è un narratore. Si può tuttavia ritenere Erodoto il padre della storiografia perché ci sono degli assunti metodici corretti
Secondo gli stoici è la ragione che, sostanzialmente, ci fa trovare le soluzioni giuste, appropriate. Bisogna far sì che la parte migliore di noi(la ragione, l'intelligenza) domini gli impulsi. Secondo gli stoici ESSERE FELICI significa SAPERSI CONTROLLARE, cioè sentire che è il nostro intelletto che domina, che decide, e non le nostre passioni. E' bene perciò saper rinunciare a una nostra passione per fare la cosa più giusta
Aristotele distinse inoltre la semplice ragione (da lui chiamata diànoia), dall'intelletto (o noùs): la razionalità deduttiva, infatti, la cui forma esemplare è il sillogismo, pur essendo capace di trarre conclusioni coerenti con le premesse, cioè di effettuare dimostrazioni corrette da un punto di vista formale, non può in alcun modo garantire la verità dei contenuti; per cui se il ragionamento parte da premesse false, anche il risultato finale sarà falso. Aristotele assegnò pertanto all'intelletto, distinto dalla ragione, la capacità di cogliere la verità delle premesse dalle quali scaturirà la dimostrazione, attraverso un processo intuitivo capace di astrarre l'essenza universale della realtà da singoli casi particolari; questo procedimento è avviato appunto dall'epagoghé, ma si tratta comunque di un procedimento di natura extra-razionale, il che, si badi, è diverso da "irrazionale": l'intuizione intellettuale è infatti situata da Aristotele ad un livello superiore rispetto alla ragione.[2]
In teologia, ed in particolare nella scolastica medievale, la ragione è vista come ancilla theologiae: essa è ben distinta dalla fede e consiste nell'esercizio dell'intelligenza umana a favore della chiarificazione di nozioni religiose. In questa visione, la religione pone i limiti all'interno dei quali la ragione può effettivamente essere esercitata. Questi limiti sono concepiti in maniera diversa a seconda delle diverse confessioni religiose e dei periodi storici di riferimento: in generale, si può dire che il cristianesimo dei nostri giorni, soprattutto quello protestante, tende a garantire alla ragione un ampio margine di azione, riservando tuttavia alla fede l'ambito delle verità "ultime" (sovrannaturali) della teologia.
La matematica e la scienza si possono considerare distinte dalle osservazioni, le quali sono affette da errori di misura (il termine qui deve essere interpretato come "incertezza" e non come "fallace"); la conoscenza della Natura è quindi limitata dalla nostra capacità di misurarla. Applicando il metodo scientifico si analizzano le osservazioni e si derivano le equazioni matematiche che ne permettano la migliore descrizione, lo sviluppo di teorie scientifiche è basato sulla nostra capacità di analizzare questi dati; a tale fine si sono sviluppate delle tecniche statistiche (funzioni di distribuzione) che permettono di ridurre l'incertezza dei dati e affinare le teorie ad essi connesse.
Parry è un barbone ex professore di storia divenuto un clochard alla spasmodica ricerca del Santo Graal. È diventato tale a causa della violenta uccisione della fidanzata sotto i suoi occhi. Il destino vorrà poi che incroci la sua misera vita con la vita di Jack Lucas un deejay caduto in disgrazia e la sua eccentrica compagna Anne. Parry e il disc jokey sono uniti da un'intersezione di vite casuale quanto spietata e la loro storia non può che fondersi per il bene di entrambe.
Estrapolando il personaggio di Parry dal fiabesco mondo medievale e romantico caratteristico di tutto il film si può ricondurre la sua pazzia ad una forma di schizofrenia con tanto di allucinazioni visive, sonore e deliri. I ricoveri per le acuzie di stupor (non coma) e la sua successiva caduta in disgrazia economica e sociale possono essere verosimilmente riconducibili a questa sofferta patologia alienante.
La cabala viene spiegata da Pico come una fonte di sapienza da cui attingere per decifrare il mistero del mondo, e nella quale Dio appare oscuro, in quanto apparentemente irraggiungibile dalla ragione; ma l'uomo può ricavare la massima luce da tale oscurità. Inoltre, Pico pone fortemente il tema della dignità e della libertà dell'uomo. Infatti l'uomo, dice Pico, è l'unica creatura che non ha una natura predeterminata. Pico della Mirandola afferma, in sostanza, che Dio ha posto nell'uomo non una natura determinata, ma una indeterminatezza che è dunque la sua propria natura, e che si regola in base alla volontà, cioè all'arbitrio dell'uomo, che conduce tale indeterminatezza dove vuole.Giovanni Pico, quindi, sostiene che è l'uomo a «forgiare il proprio destino», secondo la propria volontà, e la sua libertà è massima, poiché non è né animale né angelo, ma può essere l'uno o l'altro secondo la «coltivazione» di alcuni tra i «semi d'ogni sorta» che vi sono in lui.
Virgilio è l’allegoria della ragione umana che conduce per una retta via e salva l’uomo dal peccato. Infatti il poeta, che trova compimento nel Limbo, poiché nacque nel tempo “de li dei falsi e bugiardi”, compagno di altri saggi dell’antichità, ora, per volontà divina, diviene guida di Dante. Nell'Inferno Virgilio fornisce spiegazioni sul concetto di fortuna, sul criterio di assegnazione delle pene; nel Purgatorio invece accompagna Dante nella comprensione di argomenti più elevati e allegorici come i motivi dell’assenza dell’ombra del corpo, la posizione del monte, la teoria dell’amore.
La concezione della vita morale nel Decameron si basa sul contrasto tra Fortuna e Natura, le due ministre del mondo (VI,2,6). L'uomo si definisce in base a queste due forze: una esterna, la Fortuna (che lo condiziona ma che egli può volgere a proprio favore), l'altra interna, la Natura, con istinti e appetiti che deve riconoscere tramite la ragioem. La Fortuna nelle novelle appare spesso come evento inaspettato che sconvolge le vicende, mentre la Natura si presenta come forza primordiale la cui espressione prima è l'Amore come sentimento invincibile che domina insieme l'anima e i sensi, che sa ugualmente essere pienezza gioiosa di vita e di morte.
L'amore per Boccaccio è una forza insopprimibile, motivo di diletto ma anche di dolore, che agisce nei più diversi strati sociali e per questo spesso si scontra con pregiudizi culturali e di costume. La virtù in questo contesto non è mortificazione dell'istinto, bensì capacità di appagare e dominare gli impulsi naturali con lo strumento proprio dell'uomo, cioè la ragione.
L'illuminismo fu un movimento culturale diffusosi nell'Europa del '700 che faceva appello ai "lumi" della ragione dell'uomo e della scienza come strumenti di lotta contro l'ignoranza e la superstizione dei secoli precedenti.
Raggiunse la massima espansione in Francia con Montesquieu, Voltaire e gli enciclopedisti intorno alla metà del secolo XVIII.Due caratteristiche fondamentali furono la fede nella ragione umana e nella natura. Massimo rilievo ebbe quindi la "razionalità" che portava ad applicare nel campo della conoscenza il metodo sperimentale o scientifico, senza più fare affidamento su altro che non fosse la propria ragione. Il che consentiva di individuare leggi generali che ponessero l'uomo in grado di giungere alla ricostruzione di una nuova era in cui potesse sentirsi, come all'origine, libero e innocente, perché sostenuto dalla propria ragione e liberato dai dogmi della fede.