Stati dell'Io
Adulto
Nella teoria e nella pratica dell’AT, l’Adulto è lo stato dell’Io che rimane, dopo che tutti gli elementi del Bambino e del Genitore sono stati analizzati e che si riduce “alla realtà del vivere terreno”. Questo Stato dell’Io, concentrato unicamente sul presente, sa agire in autonomia (con consapevolezza, spontaneità e intimità).Berne (1964, pag. 75) descrive lo stato dell’Io Adulto come “caratterizzato da un insieme autonomo di sentimenti, atteggiamenti e comportamenti che sono adeguati alla realtà attuale”
aAdulto integrante
L’Adulto Integrato, o meglio, Integrante, descrive la capacità dell’individuo di riflettere ed integrare i propri stati arcaici così come le introiezioni risalenti al passato, per utilizzarli al fine di stabilire relazioni incentrate sul presente, nella vita come nel setting terapeutico, sia egli un paziente o un terapeuta.L’Adulto quindi è un motore al comportamento attuale; determina la capacità di impiegarsi in relazioni mature e la capacità di effettuare ragionamenti astratti, logici e creativi.
Genitore
Bambino
pathos
ethos
technos
Berne offre un modello di contenimento (containment), che non è tanto un ambiente di supporto (holding) quanto un ambiente facilitante (facilitating), per usare il linguaggio di Bion e Winnicott; offre un modello dove il terapeuta è schierato con l’Adulto e regola attentamente gli interventi perché arrivino al momento giusto per far sì che il paziente si senta libero di pensare e di sentire in modo autonomo. Lo spazio del “come se” del processo terapeutico non viene chiuso assumendo una figura genitoriale, ma si sfrutta la forza degli atteggiamenti genitoriali del permesso, della protezione e della potenza per creare uno spazio psicologico nel quale il paziente abbia la possibilità di sviluppare un suo proprio funzionamento autonomo....il gruppo terapeutico di Berne non era un ambiente di sostegno (holding) empatico, bensì una matrice di studio interpersonale. Per esempio, in Principi di Trattamento di Gruppo sono descritte otto operazioni terapeutiche che «formano la tecnica dell’Analisi Transazionale» (Berne, 1966) e cioè: interrogazione, specificazione, confrontazione, spiegazione, illustrazione (umorismo e simili), conferma, interpretazione e cristallizzazione. Queste operazioni terapeutiche sono descritte dettagliatamente, illustrate e chiarite, indicando anche come utilizzarle, quando utilizzarle e quando no. Come si noterà, empatia, holding e attaccamento non fanno parte dell’elenco. Gli interventi terapeutici di Berne miravano a sollecitare l’auto-osservazione e la curiosità, in modo da decontaminare e stabilizzare il funzionamento dello stato dell’Io Adulto.
rappresentazioni grafiche
esempi clinici
SETTING
Un esempio clinico Dialogo tra A., un paziente, e la sua terapeuta, B.A: -seduto raggomitolato con la testa da una parte- Non so cosa faccio qui. Se questo ha senso, se lei può aiutarmi…..B: Non sai se ha senso e se io ti posso aiutare…A: -interrompendola e guardandosi intorno- Esatto... non me lo merito...B: Lo dici con una certa forza…A: -aggressivamente- davvero?B: quindi hai stabilito un contatto con me, in modo piuttosto energico, sembra che tu voglia mantenere il tuo punto di vista su te stesso interrompendomi.A: mi dispiaceB: non te lo dico perché tu ti dispiacciaA: -in silenzio B: L’hai presa di nuovo nel modo sbagliato... beh, forse anche io l’ho presa nel modo sbagliato.A: che cosa intende?B: beh, il modo in cui ho posto la cosa, il fatto di averti interrotto, può esserti sembrato che volevo rimproverartiA: sìB: quello che vedo è che mi sembra che tu giudichi te stesso e che ti rifiuti di considerare quello che ti potrei diresilenzioB: - continuando a guardarlo- Sono ancora quiA:-lunga pausa, inizia a piangere, piano, guardando B. e fuggendo poi il suo sguardo rompendo a tratti il contatto con lei- Quando facevo il cattivo mia madre mi chiudeva nello sgabuzzino dei giochi. Alla fine ci andavo prima che mi ci mandasse lei.B: quindi ti “chiudevi” prima che lo facesse lei.A: sìB: Sembra un buon modo di proteggerti. Lo fai anche adesso qui con me?A: beh, suppongo che non dovrei “chiuderti fuori”………
SIPARIETTO FAMILIARE
Figlio: (nel ruolo di Persecutore, alza rabbiosamente la voce contro la madre)“Lo sai che odio il blu. E mi vai a comperare un’altra camicia blu!”Madre: (nel ruolo di Vittima)“Secondo te non faccio mai niente di giusto.”Padre: (nel ruolo di Salvatore della madre, di Persecutore del figlio)“Non ti permettere di alzare la voce contro tua madre, giovanotto. Vattene nella tua stanza e niente cena.”Figlio: (ora ha assunto il ruolo di Vittima e se ne va imbronciato)“Mi dicono di essere sincero, e quando mi permetto di dire quello che non mi piace mi rimproverano. Certa gente non è mai contenta.”Madre: (adesso è diventata Salvatrice e porta di nascosto del cibo al figlio)“Non dirlo a tuo padre. E’ assurdo fare tanto chiasso per una camicia.”Madre: (nel ruolo di Persecutore rivolgendosi al padre)“Pietro sei così duro con tuo figlio. Scommetto che in questo momento ti detesta.”Padre: (nel ruolo di Vittima)“Ma tesoro, io stavo solo cercando di aiutarti e tu mi colpisci proprio dove più mi duole.”Figlio: (uscendosene Salvatore)“Su, mamma, smettila; papà è solamente stanco.”
aSalvatore-Vittima-Carnefice
"COPIONI"
"Gli strumenti della mente diventano ceppi quando l'ambiente che li rese necessari ha cessato di esistere" H. BergsonLa storia della famiglia P analizzata con il Triangolo drammatico di Karpmandi Riccardo Germani (Redattore )La maggior parte di noi ha sperimentato, in qualche momento della vita, il disagio di un clima familiare teso. A partire dalla prospettiva del Triangolo Drammatico, uno strumento usato in analisi transazionale, è possibile comprendere meglio le dinamiche tipiche dei conflitti familiari e provare a uscirne.La famiglia P è una tranquilla famiglia milanese. I due figli Lucia e Giacomo frequentano il liceo e i genitori sono sposati da diversi anni. Nonostante l’apparente serenità che la famiglia comunica all’esterno, però, i conflitti e le tensioni non mancano. Le liti si ripetono sempre uguali, con lo stesso schema di alleanze e accuse, ma soprattutto con i soliti ruoli. Claudia, la mamma, rimprovera spesso Lucia di essere poco di aiuto in casa, additandola come disordinata e pigra; Roberto, il papà, cerca di intervenire per placare la lite, ma viene a sua volta accusato da entrambe le donne di parteggiare per l’altra. L’irritazione crescente lo spinge ad allontanarsi: accusa madre e figlia di essere immature ed esce di casa sbattendo la porta e chiudendosi in se stesso. In tutto questo, Giacomo, il fratello minore, si sente frustrato dalla situazione e comincia a comportarsi in modo ostile con tutta la famiglia, oscillando tra l’aggressività e la voglia di “mettere a posto le cose”.Che cosa è successo? Perché stare insieme può diventare così faticoso?Ciascuno dei componenti della famiglia P percepisce due sensazioni. La prima è quella di una sorta di forza gravitazionale: si sente nel giusto e sente di dover difendere le proprie ragioni. La seconda è quella di essere su uno scivolo dei parchi acquatici: procede in un vortice verso il basso senza la possibilità di fermarsi e risalire. A cosa sono dovute queste esperienze?Il triangolo drammaticoSecondo Stephen KARPMAN, analista transazionale americano, esiste un modello in grado di spiegare queste dinamiche, che ha chiamato triangolo drammatico. Karpman ritiene che in molte interazioni le persone rispettino una sorta di schema, in cui recitano la propria parte come se seguissero un copione. Questo schema è rappresentato da un triangolo, in cui a ogni vertice corrisponde un ruolo. I tre ruoli sono: persecutore, salvatore, vittima. Secondo l’autore, ognuna di queste posizioni permetterebbe di soddisfare alcuni bisogni egoistici:Vittima (schema “povero me!”): la persona che recita questo copione ottiene attenzione, perché sia Persecutore che Salvatore si concentrano su di lei. Inoltre, il ruolo di vittima soddisfa il bisogno di dipendenza e permette di evitare l’assunzione di responsabilità. La vittima non è sempre realmente una vittima, ma agisce come tale. I suoi sentimenti hanno a che fare con il sentirsi oppresso, accusato, senza speranza. Questa persona appare incapace di prendere decisioni, di risolvere problemi e trovare soluzioni.Persecutore (schema “è tutta colpa tua!”): il persecutore è controllante, critico, oppressivo e giudicante. Si sente superiore e “bullizza” la vittima. In questo modo evita i propri sentimenti e le proprie paure.Salvatore (schema “ti aiuto io!”): il salvatore accorre in aiuto della vittima. Ciò gli permette di mettersi in buona luce e sentirsi moralmente superiore, giusto, ma anche di evitare i propri problemi e sentimenti. Questo personaggio si sente frustrato e in colpa se non riesce a salvare gli altri. Le sue azioni hanno comunque effetti negativi, perché permettono alla Vittima di rimanere dipendente e al Persecutore di continuare ad attaccare.
a"GIOCHI"
Perché le persone giocano? Perché sono spaventate dall’intimità. Ciò che vogliamo veramente nella relazione con l’altro è di sentirci visti e compresi in profondità, in modo autentico. Ma mostrarsi in piena luce ci spaventa. Lo desideriamo ardentemente, ma altrettanto ardentemente ne siamo intimoriti. Perché nel rapporto intimo siamo vulnerabili, l’altro potrebbe ridere di ciò che ci procura allegria ed estasi, potrebbe ridere delle nostre debolezze e fragilità. E allora ricorriamo a una serie di transazioni “sicure”, ripetitive, che hanno sempre le stesse regole e che ci permettono di esprimere una parte delle nostre emozioni e di nutrirci di un surrogato dell’intimità. Un “compagno di giochi” non sarà un amico o un amante ma è pur sempre qualcosa che gli somiglia.Cos'è un gioco psicologicoI giochi psicologici, contrariamente alla definizione ludica, non sono esperienze piacevoli, ma costituiscono un tipo di interazione disfunzionale, fonte di sofferenza e di situazioni conflittuali, come tensioni, litigi, fino a separazioni dolorose. Mettere in atto un gioco psicologico, in base al modello dell'Analisi Transazionale, significa impostare le relazioni affettive su uno schema ripetitivo di comportamenti, la cui conclusione comporta sempre un'emozione negativa: rabbia, tristezza, impotenza, sconforto.Le persone coinvolte si accorgono che questi sentimenti sono familiari, nel senso di averli provati molte altre volte e in circostanze diverse. Infatti, il medesimo gioco è riproposto in situazioni differenti, come il contesto lavorativo e quello sociale. All'interno del gioco la persona ricopre un ruolo e invita l'altro a impersonarne uno complementare.A tal fine sceglie, inconsapevolmente, il partner tra coloro che sono in grado di interpretare un ruolo che possa intrecciarsi con il proprio.Se ci si sofferma a osservare le coppie di amici e conoscenti, non è difficile individuare i ruoli ricoperti dai due partner all'interno della relazione.Schema del gioco.Lo schema del gioco secondo la teoria dell'Analisi Transazionale è il seguente:Fase di apertura (GANCIO + ANELLO): il gancio è la comunicazione con cui s'invita l'altro a giocare, l'anello è la disponibilità dell'interlocutore a partecipare al gioco proposto. Metaforicamente "gancio + anello" rappresenta il processo con cui l'anello si appende al gancio. Prendendo come esempio il gioco: «Perché non... sì ma», la fase di apertura può essere: «Ho bisogno di un tuo consiglio», «Va bene... dimmi...».Fase centrale (RISPOSTA): l'interazione prosegue in modo prevedibile e con tempi più o meno lunghi.Seguendo l'esempio del gioco «Perché non... sì ma», la risposta consiste nella serie di suggerimenti forniti da un partner e respinti dall'altro: «Potresti fare questa cosa...», «Sì... ma... ci sarebbe quest'inconveniente».Fase finale (SCAMBIO DEI RUOLI + SORPRESA): l'interazione è improvvisamente interrotta da un colpo di scena, in virtù del quale chi ha iniziato il gioco cambia il proprio ruolo (scambio dei ruoli), segnalando in questo modo la conclusione dello stesso. Nell'esempio citato «Perché non... sì ma», lo scambio dei ruoli concerne il momento in cui la Vittima che ha iniziato il gioco diventa Persecutore, screditando la capacità dell'altro di offrirle l'aiuto richiesto: «Ho capito, non vuoi aiutarmi!».La sensazione di aver cambiato ruolo provoca nei due partner un momento di sorpresa. Entrambi, sebbene colgano il ripetersi dell'accaduto, rimangono stupiti chiedendosi «Cosa sta succedendo?».Conclusione (TORNACONTO): al termine del gioco, ciascuno dei giocatori ottiene il suo tornaconto costituito da una "ricompensa psicologica": procurarsi sostegno, sentirsi riconosciuto, rimarcare la propria superiorità o l'incapacità dell'altro.Ma la vittoria è solo apparente, in quanto è sempre accompagnata da un'emozione spiacevole o da un pensiero negativo («Non sono all'altezza», «Nessuno è capace di aiutarmi», «Non ne posso più...», «Non mi capisce...»).Caratteristiche dei giochiUn processo comunicativo per essere definito gioco psicologico deve soddisfare alcune caratteristiche.I giochi sono ripetitivi: ognuno ha il suo gioco preferito, che ripropone con svariate modalità in più circostanze. Attori e contenuti possono cambiare, ma lo schema di base è sempre lo stesso.Sono inconsapevoli: la persona non si rende conto di farlo.Pur chiedendosi «Com'è possibile che questo sia successo di nuovo?», non si accorge di aver contribuito a costruire e sostenere il meccanismo.La comunicazione avviene su un doppio livello: il primo apparentemente realistico ed espresso a parole; il secondo profondo e non esprimibile a parole. Questo secondo livello guida l'andamento del gioco, sebbene sia sconosciuto agli stessi giocatori (inconsapevolezza del gioco).Prevedono un momento sorpresa: a un certo punto dell'interazione (scambio dei ruoli) i protagonisti percepiscono che sia accaduto qualcosa d'inaspettato.Terminano con uno stato d'animo negativo («È sempre la stessa storia...»): anche quando la prima sensazione è una vittoria, questa si erige su uno sfondo spiacevole.Perché giochiamo?Berne, ritiene che i giochi siano "copioni di comportamento" appresi nell'infanzia, riprodotti da adulti e oscurati "dalle nebbie sociali".Il meccanismo del gioco è infatti appreso nel corso dell'infanzia, quando il bambino mette in atto determinate strategie come mezzo per soddisfare i bisogni di attenzione e di riconoscimento.Una volta acquisito, il gioco si consolida strutturandosi in uno schema "stimolo - risposta" e si dimenticano le motivazioni per cui è stato concepito, ragione per cui il gioco è inconsapevole.Nel corso della vita adulta, il gioco prescelto sarà attivato come comportamento automatico nelle relazioni importanti.La persona ricorre al gioco quando non si sente sufficientemente apprezzata dal partner o crede di non ricevere adeguata considerazione ed importanza. Per soddisfare queste esigenze ripropone, senza rendersi conto, quelle strategie che nell'infanzia erano state funzionali, ma che nel contesto presente risultano inappropriate.Alla base dei giochi psicologici possono esserci molteplici ragioni:Ottenere attenzione e importanza: attraverso il gioco si diventa riconoscibili agli occhi del partner, che è costretto a dedicare attenzione, ascoltando, aiutando, rispondendo alle critiche.Garantire il senso di sicurezza: il gioco essendo ripetitivo consente di strutturare la vita di coppia in schemi relazionali prevedibili, offrendo sicurezza a entrambi i partner.Evitare l'intimità: il gioco permette di mantenere rapporti emotivamente intensi, senza svelare all'altro la propria vulnerabilità.Giustificare un attacco contro il partner, cui addossare la responsabilità dei propri stati d'animo negativi o attribuirgli la colpa di eventi che potrebbero intaccare la propria autostima.Confermare le proprie convinzioni su se stessi, elaborate nel corso della propria storia personale, cercando verifiche su quello che la persona pensa di essere o che gli altri pensano che sia.Pertanto si gioca nel tentativo di soddisfare le proprie esigenze emotive, ma poiché nel gioco sono riproposte strategie superate, i reali bisogni rimangono insoddisfatti.Conseguenze dei giochiTutte le persone possiedono i propri giochi, che ripropongono all'interno della relazione affettiva. Esiste tuttavia un confine, un grado d'intensità per cui il gioco da moderato e innocuo diventa disfunzionale e dannoso.I giochi di lieve intensità generano screzi e discussioni, senza pregiudicare il benessere e l'armonia della relazione di coppia.Il gioco disfunzionale invece è fonte di infervorati litigi, rivalse, rancori, ostinati silenzi, suscitando stati d'animo negativi in entrambi i partner.Il legame può logorarsi al punto da condurre alla rottura o alla scelta di permanere in una relazione insoddisfacente. In alcuni casi il disagio si esprime in un sentimento di confusione, dovuto all'attivazione di un gioco "non complementare", per cui uno dei due membri della coppia non è disponibile a partecipare al gioco proposto dall'altro.Ciò si può verificare nelle prime fasi di un nuovo rapporto affettivo, in cui la persona percepisce un'interazione sfuggente e l'allontanamento del partner, ma non comprende cosa stia accadendo. Infine, l'intensità del gioco può raggiungere livelli estremi, che possono spingersi fino al maltrattamento fisico, con gravi conseguenze emotive.Come liberarsi dai giochiIl primo passo consiste nella consapevolezza dei giochi e del ruolo ricoperto all'interno di questi.La consapevolezza del gioco è un valido strumento per evitarli.Dinnanzi a un'interazione in cui si pensa «È successo di nuovo!», è utile cercare di identificare quali sequenze di comportamenti tendono a ripetersi e come si contribuisce alla loro realizzazione.Il secondo passo comporta il rifiuto/interruzione del gioco.Quando si riconosce che una determinata dinamica corrisponde a un gioco, è possibile rifiutarsi di entrare in quello proposto dall'altro, fornendo una risposta diversa rispetto alle aspettative di questi (non agganciando l'anello). Mentre, quando s'intuisce di aver innescato il meccanismo, questo può essere interrotto, attivando comportamenti diversi da quelli consueti, che consentano di retrocedere dall'escalation.Ad esempio nel gioco «Perché non... Sì ma...», il giocatore che offe consigli può fornire una risposta del tipo: «Non so cos'altro dirti!».Mentre il secondo giocatore può uscire dal ruolo ricoperto, con una reazione del tipo: «Grazie, rifletterò su quello che mi hai suggerito».È ovvio che un gioco non si smonta immediatamente, ma è necessario perseverare nelle nuove risposte ed essere realmente motivati a interrompere la dinamica.
T.C.T
E’ TUTTA COLPA TUA (TCT) (tipico gioco coniugale)“Una signora si lamentava perché il marito non le permetteva di partecipare a certeattività sociali, tanto, che non aveva mai imparato a ballare. Dopo che il trattamentopsichiatrico ebbe modificato l’atteggiamento di lei, il marito perdette un po’ della suainflessibilità e diventò più indulgente. La signora così cominciò ad allargare il suocampo di attività. Si iscrisse ad una scuola di danza e si accorse, disperata, di avereuna paura morbosa delle piste da ballo; e così dovette rinunciare al progetto.Questa disgraziata avventura, insieme con altre analoghe, rivelò certi aspetti importantidella struttura del suo matrimonio. Tra i tanti corteggiatori lei s’era scelto come marito iltipo più autoritario. Così si era messa nella posizione migliore per lamentarsi erecriminare che “per colpa sua” aveva rinunciato a un sacco di cose; inoltre altre sueamiche predilette avevano un marito autoritario e la mattina, quando di vedevano perprendere il caffè, era un gran giocare a “Tutta colpa sua”.Ma era chiaro che, nonostante tutti i suoi lamenti, il marito le faceva un favore aproibirle una cosa di cui nel profondo aveva paura; anzi le impediva addirittura diprendere coscienza delle sue fobie. Per questo la sua Bambina se l’era astutamentescelto.Ma c’è di più. Le proibizioni di lui e le proteste di lei si risolvevano spesso in litigi cheandavano a tutto scapito della loro vita sessuale. Pieno di sensi di colpa, lui le portavaun sacco di regali che in altre circostanze probabilmente non le avrebbe fatto: e infattiquando aveva incominciato a concederle un po’ di libertà, i regali si erano diradati ederano diventati meno costosi. Non avevano molto da dirsi, a parte i problemi demènage e dei figli, e così i litigi diventavano avvenimenti importanti: era soprattuttoquando litigavano che avevano qualcosa di più di una banale conversazione. In ognicaso la vita coniugale le aveva confermato una verità di cui era sempre stataconvinta: che gli uomini sono tutti meschini e tiranni. Come si scoprì in seguito, il suoatteggiamento era radicato in certe tormentose fantasticherie dell’infanzia in cuiaveva immaginato di essere violentata”. (pp 57-59)Scopo del gioco del TCT può essere la rassicurazione, (“non è che io abbia paura, èluiche non me lo permette”) oppure la vendetta (“non è che io non ci provi, è lui che melo impedisce”).Parti: il TCT si gioca in due: la moglie oppressa e il marito dominatore. La moglie puòinterpretare la sua parte o da Adulta prudente (“è meglio fare come dice lui”) o daBambina petulante . Il marito dominatore può restare in uno stato dell’io da Adulto(“sarebbe meglio se facessi come dico io”) o scivolare in quello parentale (“faraimeglio a comportarti come dico io”).Dinamica: in questo caso la dinamica sottostante deriva da fonti fobiche.Paradigma transazionale: nella forma più drammatica il TCT a livello sociale è un giocoGenitore-Bambino.Marito: “Non devi uscire e devi badare alla casa”Moglie: “E’ tutta colpa tua se non posso andare un po’ a divertirmi.”A livello psicologico. (l’ulteriore contratto matrimoniale) la relazione è Bambino-Bambino, ed è completamente diversa.Marito: “Voglio sempre trovarti a casa, quando rientro. Ho il terrore di essereabbandonato.”Moglie: “Ci sarò, se mi aiuterai ad evitare le situazioni fobiche”.Mosse: ridotte all’essenziale la struttura del TCT sono:1. Ordine-Obbedienza (“Non devi uscire.” “Va bene”).2. Ordine-Protesta (“Non devi uscire.” “E’ colpa tua se non…”)Vantaggi: (Esistenziale). La conferma della posizione della moglie – “Gli uomini sonotutti tiranni” – rappresenta il vantaggio esistenziale. La posizione è una reazione albisogno di sottomettersi che è tipico delle fobie e questo dimostra la coerenzastrutturale che è alla base di tutti i giochi. Espressa in tutte lettere, l’affermazionesuonerebbe così: “Se uscissi sola tra la folla, cederei alla tentazione di sottomettermi; acasa non mi sottometto: è lui che mi ci costringe e questo dimostra che gli uomini sonotutti tiranni”.Vantaggio psicologico interno: in TCT la resa all’autorità maritale, che è socialmenteaccettabile, evita alla donne le fobie nevrotiche…….Vantaggio psicologico esterno: obbedendo al marito, la moglie evita le situazionipubbliche di cui ha paura.Vantaggio sociale interno: con la sua remissività la moglie si assicura il privilegio didire“E’ tutta colpa tua” e questo l’aiuta a strutturare il tempo che deve trascorrere con ilmarito.Vantaggio sociale esterno: nel tempo che la donna trascorre con le amiche la frase“E’ tutta colpa tua” si trasforma in “E’ tutta colpa sua”. I giochi influiscono molto sullascelta delle amicizia. Si invita la nuova vicina a prendere il caffè mattutino proprio pergiocare a “tutta colpa sua”. Se ci sta, diventerà un’amica intima, ma se rifiuta e lavicina insiste a mostrarsi caritatevole verso il marito, l’amicizia non durerà.
T.H.B.
V.C.
P.N...
“Perché non … Sì, ma”.Questo è stato il primo “gioco” descritto da Berne Due amici, Claudio e Roberto, si rincontrano dopo un po' di tempo e si aggiornano reciprocamente delle proprie novità. Roberto sta vivendo con impotenza una serie di problemi sul lavoro, racconta che i suoi colleghi lo stanno “mobbizzando”, riservandogli sistematicamente i lavori più frustranti. Claudio: “Mi dispiace di sentire questo!”. Roberto: “Già, non so che fare”. Claudio: “Perché non ti cerchi un nuovo posto di lavoro?”. Roberto: “Magari”, ma purtroppo oggi c’è un altissimo tasso di disoccupazione!”. Claudio: “Beh, allora rivolgiti ad un centro per l’impiego!”. Roberto: “Potrei provarci, ma con le mie competenze e alla mia età sicuramente non hanno nulla per me”. Claudio: “Allora ti aiuto io: vieni a lavorare nella mia azienda!”. Roberto: “Ti ringrazio moltissimo! So che lo faresti col cuore, però non voglio l’aiuto di nessuno”. Claudio: “D'accordo, ma allora perché non ne vai a parlare con il responsabile delle risorse umane?”. Roberto: “E’ un’idea, ma in fondo non è il caso, anche lui sembra essere maldisposto nei miei confronti”. Claudio: “Perché non vai a parlarne col capo ufficio, allora?”. Roberto comincia ad innervosirsi ed alza leggermente la voce: “Senti forse non ti è chiara la situazione: ce l'hanno tutti con me! Chiaro?”. Claudio, che non si aspettava questa reazione ostile, si mette un sulla difensiva: “D'accordo, cercavo solo di aiutarti ...”. Roberto, ora completamente innervosito: “E certo, per te è facile con la tua attività in proprio!”. Claudio, sentendosi accusato: “Scusa, dai, non fare così”. Entrambi a questo punto sono confusi e provano emozioni negative a cui non sanno dare senso con chiarezza. In realtà entrambi erano pronti a giocare il gioco “Perché non ... Sì, ma” e, quando si sono incontrati e inconsciamente hanno riconosciuto tale desiderio di giocare anche nell’altro, hanno giocato la loro partita che prevedibilmente li avrebbe portati a questo infelice esito finale.
La "Guarigione" intesa come potenziamento dell'AdultoL'obiettivo è di ristabilire l'autonomia e di rendere più stabile la condizione di problem solving, vissuta con spontanee e non parassite.Una parte essenziale della "guarigione" viene intesa come la capacità di reagire in maniera appropriata a quello che avviene "qui e ora". Se siamo spontanei le nostre reazioni naturali ci aiutano a realizzare i nostri bisogni e desideri. Non si parlerà di "spontaneità" quando queste invece finiscono con l'ostacolarci o risultare inutilmente "costose". Nel primo caso le emozioni verranno chiamate "emozioni genuine", nel caso opposto si parla di "emozioni parassite". La "spontaneità" viene danneggiata dalle svalutazioniCome liberarsi dai giochiGestione dei conflitti di coppiaDott.ssa Cristina MencacciRisolvere i problemi di coppia, Perugia (PG)https://www.psicocitta.it/articoli-psicologi/213-risolvere-problemi-coppia-3806.phpIl primo passo consiste nella consapevolezza dei giochi e del ruolo ricoperto all'interno di questi.La consapevolezza del gioco è un valido strumento per evitarli.Dinnanzi a un'interazione in cui si pensa «È successo di nuovo!», è utile cercare di identificare quali sequenze di comportamenti tendono a ripetersi e come si contribuisce alla loro realizzazione.Il secondo passo comporta il rifiuto/interruzione del gioco.Quando si riconosce che una determinata dinamica corrisponde a un gioco, è possibile rifiutarsi di entrare in quello proposto dall'altro, fornendo una risposta diversa rispetto alle aspettative di questi (non agganciando l'anello). Mentre, quando s'intuisce di aver innescato il meccanismo, questo può essere interrotto, attivando comportamenti diversi da quelli consueti, che consentano di retrocedere dall'escalation.Ad esempio nel gioco «Perché non... Sì ma...», il giocatore che offe consigli può fornire una risposta del tipo: «Non so cos'altro dirti!».Mentre il secondo giocatore può uscire dal ruolo ricoperto, con una reazione del tipo: «Grazie, rifletterò su quello che mi hai suggerito».È ovvio che un gioco non si smonta immediatamente, ma è necessario perseverare nelle nuove risposte ed essere realmente motivati a interrompere la dinamica.Non possiamo impedire che qualcuno ci inviti a giocare, ma possiamo non farci agganciare o uscire al più presto dalla situazione. Nello stesso tempo, se ci lasciamo coinvolgere in un gioco vuol dire che una parte di noi vi trova un certo interesse. In questo caso la liberazione dei giochi prevede un lavoro su se stessi.I segnali di invischiamento arrivano quando:Si avvertono stati d'animo negativi, come scontentezza, insofferenza, delusione a causa di conflitti che tendono a ripetersi con un analogo schema.Si percepisce un senso disorientamento, per il verificarsi ripetuto di situazioni spiacevoli, di cui non si comprende il processo per cui si è coinvolti nelle stesse.Si continua a giocare pur sapendo di farlo, nonostante le conseguenze negative.Si tende ad attribuire la colpa del gioco al partner, senza riconoscere il proprio contributo nell'attivare e sostenere il meccanismo.Si teme la rottura della relazione o non si riesce a mantenere una relazione stabile, perché: «È sempre la stessa storia...».Il primo obiettivo del sostegno psicologico è quello di rendere la persona consapevole del tipo gioco che tende ad instaurare e chiarire i meccanismi che involontariamente attiva. La consapevolezza permette di controllare il circolo vizioso del gioco e di attribuire un significato ai comportamenti di rifiuto, rabbia, aggressività che si manifestano nelle relazioni affettive.Il secondo obiettivo è quello sbloccare il meccanismo ripetitivo del gioco: inizialmente accompagnando la persona a recuperare lo "spazio di riflessione" soppresso dalle reazioni automatiche. Poi incoraggiandola a sperimentare comportamenti "alternativi", appropriati alla situazione presente, con cui sostituire quelli consueti e disfunzionali. In questo modo, diventa possibile gestire la dinamica del gioco, evitando di agganciare quello proposto dall'altro e bloccando il fluire del proprio.Infine, è necessario disattivare il "tornaconto" negativo.Il gioco psicologico è finalizzato a ottenere riconoscimenti, ma poiché vengono utilizzate strategie inadeguate, l'esito è diverso rispetto alle aspettative. L'eliminazione della ricompensa negativa implica l'utilizzo di modalità più esplicite e dirette per manifestare le proprie richieste emotive.La vita adulta, in quanto tale, rende disponibile un vasto repertorio di risorse, cui la persona può attingere per esprimere bisogni e sentimenti, tendendo conto dell'esperienza individuale dell'altro e della situazione contingente.La liberazione dai giochi psicologici permette di costruire un rapporto affettivo basato su aspettative realistiche e sentimenti di reciprocità, quali punti di partenza per una relazione gratificante ed arricchente per entrambi i partner.BibliografiaBerne E., "A che gioco giochiamo", Bompiani, Milano, 2003b, 1964Berne E., "Ciao! ... e Poi?", Bompiani, Milano, 2003a, 1972Magrograssi G., "I giochi che giochiamo", Baldini e Castoldi, Milano, 2005Magrograssi G., "I giochi psicologici in Analisi Transazionale", Ananke, Torino, 2011Miglionico A., "Manuale di comunicazione e counselling", Centro Scientifico Editore, Torino, 2000Moiso C., Novellino M., "Stati dell'Io: le basi teoriche dell'Analisi transazionale integrata", Astrolabio, Roma, 1982Ricardi F., "L'Analisi Transazionale", Xenia, Milano, 1997Stewart I., Joines V., "L'Analisi Transazionale, Guida alla Psicologia dei Rapporti Umani", Garzanti, Milano, 1990Watzlawick P. et.al., "Pragmatica della comunicazione umana", Astrolabio, Roma, 1971
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