af MARIO SIGNORIELLO 4E LICEO CLASSICO 4 år siden
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Il Romanticismo tedesco ha identificato un movimento culturale che si appellava alla straordinaria sensibilità dell'artista, in contrapposizione alla visione illuminista. Il termine "Romanticismo" è stato utilizzato per il nuovo movimento nel 1798 da Friederich Schlegel, romantico tedesco, per indicare la corrente inglese. In seguito è stato usato per indicare il gruppo di Jena, il punto più avanzato del romanticismo tedesco. Nei manifesti romantici italiani della prima metà dell’800, la parola designava la poesia moderna “dei vivi”, contrapponendola a quella “dei morti” e all’imitazione dei classici.
Lo Sturm und Drang era un movimento culturale e letterario tedesco della seconda metà del 18° sec. (1760-85 ca.) che, con il suo programma di un’integrale rivalutazione dell’irrazionale nella vita e nell’arte in opposizione all’intellettualismo illuministico, rappresenta l’ultima fase del preromanticismo. Si annuncia fin dalle sue origini come un ritorno alle fonti della tradizione spirituale tedesca, in polemica con il predominio della cultura francese in Germania.
Il mito della natura si determina nel nuovo clima spirituale da una parte come sentimento della divinità della natura, dall’altra come concetto dell’inevitabilità degli istinti e delle passioni quali necessarie manifestazioni della natura. Motivo dominante dello Sturm und drang fu appunto il diritto dell’uomo a dare soddisfazione alle sue intime aspirazioni.
Fine ultimo del nuovo dramma non è più l’azione ma la pittura dei caratteri e l’evento provvidenzialmente preordinato da Dio per l’eroe. E come il poeta non è più il sereno artefice del proprio mondo, ma rivive la passione del proprio eroe, l’arte è intima compenetrazione con l’oggetto; sola forma adeguata alla nuova visione tragica appare il rapido, incalzante succedersi di situazioni senza uscita, ciascuna in sé conchiusa, eppure tutte precipitanti verso la catastrofe; e il linguaggio si fa esclamazione, grido, imprecazione, o assume nei momenti di alto pathos l’andatura solenne dello stile profetico.
SITOGRAFIA:
http://www.treccani.it/enciclopedia/sturm-und-drang/
Johann Christoph Friedrich Schiller, nato nella seconda metà del '700, era figlio di un medico militare, seguì il padre nei continui cambiamenti di residenza, finché nel 1773 entrò nell'accademia militare di Solitüd, trasferita poi a Stoccarda, dove studiò legge e medicina. La rigida disciplina provocò nel giovane i primi motivi di ribellione; intanto leggeva avidamente i classici, Goethe, Rousseau e più tardi Shakespeare. Terminata l'accademia, entrò come ufficiale medico nell'esercito del Württemberg. Dopo alcuni tentativi poetici, compose il dramma Die Räuber (1781), veemente e anarchica esaltazione della libertà individuale al di sopra d'ogni convenzione sociale e morale, e opera tipica dello Sturm und Drang. Il dramma provocò l'ira del duca Karl Eugen, che proibì al poeta di occuparsi ancora di lettere. Schiller fuggì e trovò infine rifugio in Franconia. Tornato a Mannheim, conobbe Charlotte von Kalb e fondò la rivista Rheinische Thalia. Si trasferì nel 1787 a Weimar, dedicandosi alla composizione di un romanzo d'avventure, di liriche filosofico-celebrative e all'indagine storica. Nel 1790 Schiller sposò Charlotte von Langefeld. Nel 1799 si trasferì a Weimar, rinsaldando l'amicizia con Goethe già sancita dalla pubblicazione in comune delle Xenien e dalla collaborazione al Musenalmanach. Ma Weimar segnò soprattutto il ritorno di Schiller al teatro.
SITOGRAFIA:
http://www.treccani.it/enciclopedia/sturm-und-drang/
L’azione si svolge in Germania in un arco di tempo di circa due anni. Protagonisti del dramma sono i due figli del vecchio conte di Moor, il maggiore di nome Karl ed il secondogenito Franz, entrambi innamorati di Amalia Von Edelreich che ricambia l’amore di Karl.
Franz intende impossessarsi di quanto spetta al fratello e, volendo succedere al padre ad ogni costo, servendosi di false lettere, accusa il fratello di aver disonorato il nome di famiglia così che il padre diseredi Karl. Poi, per accelerare la morte del genitore facendo leva sui suoi sensi di colpa, gli fa sapere quanto egli sia stato ingiusto con il figlio prediletto e come sia ormai troppo tardi per pentirsene in quanto Karl è morto in guerra.
Nel frattempo Karl, sconvolto dall’ingiusto castigo inflittogli dal padre, diventa il capo di una banda di giovani masnadieri che propongono di vendicare le ingiustizie del mondo.
Venuto però a conoscenza delle macchinazioni del fratello, Karl decide di condurre la sua banda di masnadieri alle porte del castello dei Moor e qui, riuscito ad introdursi all’interno sotto falsa identità, scopre che Amalia è ancora innamorata di lui e che in realtà suo padre è ancora vivo sebbene tenuto prigioniero.
Franz nel frattempo scopre dell'arrivo di suo fratello e cerca di eliminarlo facendolo avvelenare da un servo che però si rifiuta di eseguire l’ordine e rivela invece i suoi piani allo stesso Karl.
Franz, terrorizzato da ciò che lo aspetta nell’altra vita per i crimini commessi, si uccide.
Il vecchio conte di Moor, intanto, muore di crepacuore.
Karl, vorrebbe cambiare vita ora che Amalia lo ha perdonato, ma i masnadieri gli ricordano il giuramento che egli aveva fatto ovvero di essere unito a loro fino alla morte.
Amalia capisce che non può sopravvivere ad un nuovo abbandono dell’uomo amato e gli chiede di ucciderla, e Karl è costretto a farlo prima che il fatto vengo compiuto da uno della sua banda.
Sopraffatto dal dolore capisce che tutta la sua vita è stata un inganno e che l’unico modo per uscire dalla sua situazione è arrendersi alle autorità. Decide così di consegnarsi ad un povero contadino, padre di molti figli, in modo che questi possa riscuotere la taglia sulla sua testa e sfamare la sua famiglia.
SITOGRAFIA:
http://lenovefigliedizeus.blogspot.com/2014/02/i-masnadieri-di-schiller-1759-1805.html
Monologo di Franz nell'atto primo
Consolati, vecchio, non lo stringerai più al seno, la via gli è sbarrata, come il cielo è separato dall'inferno. Ti è stato strappato dalle braccia, prima ancora che tu potessi dare il tuo assenso. Sarei stato un deplorevole idiota, se non avessi avuto la capacità di strappare un figlio dal cuore paterno, anche se fosse stato trattenuto da uncini di ferro! Attorno a te ho tracciato un cerchio magico di maledizioni che non potrà mai varcare. Buona fortuna, Franz! Il figlio diletto è spacciato, il fitto bosco si dirada. Devo mettere a posto queste carte, qualcuno potrebbe riconoscere facilmente la mia calligrafia. Il dolore si porterà via in fretta il vecchio... Ma devo strappare l'amore di Karl dal cuore di lei, a costo di sottrarle metà della sua vita. Ho il diritto di essere sdegnato contro la Natura e, sul mio onore, lo farò valere. Perché non sono uscito per primo dal ventre di mia madre? Perché non sono figlio unico? Perché mi ha imposto il fardello di questa ripugnante bruttezza? Perché solo io? Come se, alla mia nascita, avesse a disposizione solo qualche misero avanzo? Perché mi ha regalato questo naso da lappone, questa bocca da negro, questi occhi da ottentotto? Io credo che la Natura abbia scelto ciò che vi era di più mostruoso tra tutte le razze umane e mi abbia foggiato di questa pasta. Dannazione! Chi le ha concesso il privilegio di accordare tutto all'altro, e di negare tutto a me? Come poteva essere sensibile agli omaggi di uno e alle offese dell'altro, prima della loro nascita? Perché una simile parzialità nel suo operato? No, no! Sono ingiusto nei suoi confronti. Ci ha dotati d'immaginazione e d'inventiva se ci ha deposti, nudi e miserabili, sulle rive di quel grande oceano che è il mondo. Chi ce la fa nuoti, e chi è pesante vada a fondo! A me non ha regalato un bel nulla e se voglio fare qualcosa di me stesso, devo provvedere da solo. Ognuno può vantare gli stessi diritti nei confronti delle cose più alte e delle cose più piccole: le pretese, gli istinti, le forze si annientano quando contrastano l'una con l'altra. Il diritto è la prerogativa del vincitore, e le leggi non sono altro che i limiti della nostra forza. È vero, sono stati conclusi dei patti in comune, per dare impulso al mondo. Che bella definizione! È proprio una moneta soddisfacente con cui si possono condurre traffici lucrosi, purché si sappia spenderla a proposito. La coscienza... oh sì, certo!, ecco un bellissimo spaventapasseri per cacciar via i passeri dai ciliegi, o meglio una cambiale redatta nei termini giusti per permettere a chi ha dichiarato fallimento di tirarsi d'impaccio in caso di necessità. Ah, non c'è dubbio, sono tutte lodevoli istituzioni per assoggettare gli imbecilli e il popolo sotto lo stivale, fatte apposta perché i furbi possano profittarne liberamente. Ah, sono proprio una buffonata, non c'è che dire! Mi ricordano le siepi con cui i miei contadini recintano astutamente i loro campi perché non ci possa entrare una lepre, nemmeno una sola, per carità! Ma il padrone dà di sprone al suo cavallo e passa tranquillamente al galoppo sul raccolto. Povera lepre! Che ruolo infimo e deplorevole quello di chi, al mondo, è costretto ad essere lepre. Ma il padrone ha bisogno di lepri! Quindi, passiamo oltre! Chi non ha paura di nulla non è meno potente di chi è temuto da tutti. Oggi è di moda portare i pantaloni con delle fibbie che si possono stringere o allargare a volontà. Secondo i dettami della nuova moda, ci faremo tagliare una coscienza su misura, con una fibbia che potremo allentare ogni volta che se ne presenterà la necessità. Cosa possiamo farci? Vedetevela col sarto! Ho sentito un sacco di storie a proposito di una cosiddetta voce del sangue, storie tali da far scoppiare la testa a qualsiasi brava persona... È tuo fratello! Traduciamo: è uscito dallo stesso forno da cui sei uscito anche tu, quindi per te deve essere sacro. Notate ancora, vi prego, che assurda catena di cause ed effetti, che modo grottesco di dedurre dalla parentela dei corpi l'armonia degli spiriti, dalla comune patria d'origine l'affinità dei sentimenti, dagli stessi cibi alle stesse disposizioni! Ma proseguiamo: è tuo padre! Ti ha dato la vita, sei la sua carne e il suo sangue, e per te dev'essere sacro. Ecco un modo di pensare rigidamente conseguente! Tuttavia io chiederei: perché mi ha generato? Non certo per amor mio: io non esistevo ancora. Mi ha conosciuto prima di generarmi o pensava a me, generandomi? Mentre mi generava, desiderava proprio me? Sapeva ciò che sarei diventato? Non glielo auguro, perché in caso contrario dovrei punirlo per avermi dato la vita. Posso essergli grato se sono nato maschio? Tanto poco quanto potrei accusarlo se fossi nato femmina. Posso correttamente valutare un amore che non si fonda sull'apprezzamento della mia personalità? E questo apprezzamento poteva esistere dal momento che la mia personalità doveva nascere solo per mezzo di quell'amore di cui era il presupposto? E allora dov'è il sacro? Forse nell'atto che mi ha messo al mondo? Come se questo atto fosse diverso da un processo bestiale volto a soddisfare una concupiscenza bestiale? O forse sta nell'esito ultimo di questo atto, che in fondo è solo una necessità irrevocabile, di cui si farebbe volentieri a meno se non ci andassero di mezzo la carne e il sangue? Devo forse trattarlo gentilmente perché mi ama? Questa non è che vanità da parte sua, ovvero il peccato prediletto da ogni artista che amoreggia con la sua opera, per quanto ripugnante. Guardatela bene: eccola qua la stregoneria che voi velate di una nebbia sacra per sfruttare i nostri timori! O dovrò proprio farmi menare per il naso, come un ragazzino? Su, coraggio, mettiamoci al lavoro! Svellerò alla radice tutto ciò che per me costituisce un ostacolo e mi inibisce di essere il padrone. Il padrone! Ecco cosa devo diventare, se voglio ottenere con la forza ciò che non può offrirmi quell’amabilità che non possiedo.
Analisi del testo
Il male pertanto per Karl uno strumento essenzialmente etico: esso segna l'itinerario della volontà che ricerca, per mezzo della distruzione, la nuova legge morale dell'umanità. Lo scontro tra il riconoscimento della verità del bene e la constatazione della necessità del male non può non porsi come contraddizione lacerante. E la malinconia di Karl nel suo monologo metafisico è espressione di questa consapevolezza. Il carattere eroico di Karl si riconosce nel tentativo di agire lasciando aperta la contraddizione fra azione distruttrice e perseguimento di una giustizia ideale. E l'uccisione di Amalia e l'atto simbolico che sancisce la caduta dell'illusione stessa. Affiora alla coscienza dell'eroe tragico la consapevolezza del fatto che due individui spinti dal medesimo disprezzo per la giustizia “possono ridurre in macerie l'intero edificio del mondo morale”. Il principio dell'odio sembra infine affermarsi su ogni istanza contraria e il risultato dell'azione di Karl appare indistinguibile da quello a cui sono pervenuti gli intrighi di Franz.
Wolfgang Goethe nasce il 28 agosto 1749 in Germania, a Francoforte sul Meno. La famiglia di Goethe è benestante e borghese, col padre che lavora in veste di consigliere imperiale. Sin dalla gioventù Goethe dimostra di essere intelligente, un genio precoce, imparando con facilità le lingue, scrivendo prestissimo per il teatro delle marionette, fino a lasciare Francoforte a soli sedici anni per andare a Lipsia a studiare Legge.
Negli anni dell’adolescenza lo scrittore vive un’intensa vita sociale e culturale approfondendo moltissime materie, dal disegno alla medicina, iniziando a scrivere versi in modo libertino e scherzoso. Rotto l’idillio con Kathchen Schonkopf, Goethe vive una fase di agitazione a cui consegue il ritorno a Francoforte nel 1768, quando viene colpito da una pericolosa malattia. In questo periodo complesso Goethe entra in contatto con i pietisti nel loro ambiente religioso, in particolar modo con Susanne von Klettenberg (colei che ispirerà il personaggio dell’anima bella nel “Meister”). Questo è il periodo delle letture esoteriche e alchimistiche.
Nel 1770 Goethe si sposta a Strasburgo per portare a compimento i propri studi ed è lì che conosce l’arte gotica grazie, soprattutto, all’amicizia con Herder. Qui incontra anche Friederike Brion, figlia del pastore protestante di Sesenheim, di cui si innamora. Questo amore, insieme alla natura, gli ispirano alcune delle più belle liriche del periodo e il sentimento di colpa che prova come conseguenza all’abbandono di questo amore diventa modello per quello che prova Faust nei riguardi di Margherita.
Tra maggio e settembre 1771 Goethe lavora come praticante nel tribunale di Wetzlar e qui si innamora di Charlotte Buff, un amore irrealizzabile che diventa oggetto del romanzo epistolare "I dolori del giovane Werther".
Quest’opera ottiene successo a livello internazionale, seppur suscitando anche scandalo; Goethe diventa così l’incontrastato dominatore del panorama letterario tedesco dell’epoca entrando così in rapporto con i fratelli Jacobi, Klopstock e Lavater e avvicinandosi a Spinoza e al misticismo di Swedenborg. Ancora una volta un amore, quello per Lili Schònemann, ispira Goethe a scrivere altre liriche e il dramma “Clavigo”, che vede come protagonista un uomo infedele alla fidanzata, e un altro dramma che parla di doppio matrimonio.
Nel 1775 Goethe viaggia in Svizzera in compagnia dei fratelli Stolberg, decidendo di arrivare fino a Gottardo perché attratto dall’Italia. Una volta di ritorno a Francoforte rompe il fidanzamento con Lili. A ottobre dello stesso anno Karl August, diciottenne duca di Weimer, gli propone di lavorare come suo precettore e il poeta accetta.
In seguito Goethe si dedica allo studio della scienza, in particolare della botanica, dell’ottica e della mineralogia. Dal 1775 al 1786 circa Goethe si lega a Charlotte von Stein sia in maniera amorosa che intellettuale, dedicandole molte delle sue più belle poesie e crescendo suo figlio. In questi anni Goethe continua ancora, imperterrito, a lavorare al Faust e scrive la prima versione del "Meister".
Non molto tardi, però, anche Weimar comincia a stargli stretta e nasce in lui la voglia di partire per l’Italia per verificare se l’immagine da lui perseguita nella sua mente avrebbe preso corpo nella naturalezza italiana. Nel 1786 Goethe giunge a Roma e subito nasce in lui l’ispirazione per la poesia, la voglia di scrivere versi sublimi che potessero tradurre a parole ciò che la penisola aveva da offrire. Lo scrittore visita anche Napoli, salendo sul Vesuvio, e Palermo.
Il viaggio di Goethe in Italia termina nel 1788. Tornerà in Italia brevemente solo nel 1790 a Venezia.
Tornato a Weimar, la relazione dello scrittore con Charlotte termina a favore di quella con Cristiane Vulpius, anche se entra in forte crisi nei riguardi dell’ambiente mondano che frequenta. Nello stesso periodo inizia un rapporto molto stretto con Schiller, col quale scrive epigrammi polemici, articoli e saggi su varie riviste.
“Le affinità elettive” viene pubblicato nel 1809 e, nello stesso anno, Goethe comincia a scrivere la sua autobiografia intitolata "Della mia vita. Poesia e verità", pubblicata nel 1831.
La creatività di Goethe è massima nei suoi ultimi anni di vita, anni in cui termina il “Faust” e il “Meister” e in cui continua a scrivere poesie, recensioni, elegie, fino al 22 marzo 1832, quando si spegne per un attacco cardiaco all’età di 82 anni.
Faust è un
in versi di
Scritto nel 1808, è l'opera più famosa di Goethe e una delle più importanti della letteratura europea e mondiale.
Si ispira alla tradizionale figura del
della tradizione letteraria europea. Il poema racconta il patto tra Faust e
e il loro viaggio alla scoperta dei piaceri e delle bellezze del mondo.
Faust è un professore universitario, scienziato ed alchimista. Ha studiato tutta la vita, ma si rende conto che, per quanto l’uomo si sforzi, la sua conoscenza è nulla. Si dedica allora alla magia, per cercare di svelare i segreti della Natura. Il suo è un anelito, un tendersi verso qualcosa che sembra irraggiungibile, quello che viene definito in tedesco “Streben”.
Faust evoca il Diavolo per ottenere lo scopo. Costui, Mefistofele, fa un patto con lui: lo servirà per tutta la vita, esaudirà ogni suo desiderio, mettendogli a disposizione i suoi poteri. In cambio, Faust lo servirà nell’altra vita. L’uomo però non crede alla vita futura e muta il patto in una scommessa: “Se dirò all’attimo: sei così bello, fermati! – allora tu potrai mettermi in ceppi”. Mefistofele è convinto che, anche se Faust non pronuncerà la frase, cadrà comunque nella perdizione e nella disperazione. La posta in gioco è la libertà.
Inizia la vita piena di piaceri e desideri appagati, in cui si inserisce una feroce satira contro la cultura accademica e la sua degradazione morale. E’ in questo contesto che avviene l’incontro con Margherita, una ragazza umile, che Faust cerca di abbordare mentre esce di chiesa. Con l’aiuto di Mefistofele, le regalerà gioielli, e inevitabilmente corromperà la sua anima semplice. Più tardi si verrà a sapere che Margherita dovrà subire la pena capitale per infanticidio: dopo aver partorito il figlio di Faust, che l’aveva abbandonata, la disperazione l’aveva portata alla follia e all’uccisione del figlio. Verrà salvata in punto di morte, e andrà in Cielo, per via della sua buona fede e del suo cuore semplice tratto in inganno.
Nella seconda parte della tragedia si inseriscono i personaggi tratti dalla classicità, fra cui spicca la storia con Elena di Troia. Si avvicendano figure mitologiche, personaggi storici, filosofi come Talete e Anassagora.
Lentamente si arriva alla vecchiaia di Faust. Adesso rimpiange l’ umanità, che aveva rinnegato, maledicendo la vita e affidandosi alla magia. Non scaccia più l’Angoscia, che già una volta l’aveva portato vicino al suicidio. Prossimo alla morte, ormai cieco, Faust ha la visione della bonifica di un immenso acquitrino, che permetterà agli uomini di “stare su suolo libero con un libero popolo”.
In quell’ultimo istante, a quel pensiero, pronuncia le parole del patto: “All’attimo direi: Sei così bello, fermati!” Mefistofele è felice di aver vinto la
e aver dimostrato che la vita è inutile e sarebbe meglio “il Vuoto Eterno”. Ma quando si aprono le porte dell’Inferno, una schiera di angeli viene a prendere la parte immortale di Faust e la conduce in Cielo.
Egli è stato salvato perché “Chi sempre faticò a cercare, noi possiamo redimerlo”. Il poema si chiude con le parole del Coro Mistico: “L’Eterno Femminile ci farà salire”: la forza creatrice che muove l’universo è il principio femminile dell’Amore. Amore e “Streben”.
Pubblicato nel 1809, il romanzo di Wolfgang Goethe “Le affinità elettive” prende il titolo da un termine scientifico una volta usato per descrivere un fenomeno naturale per il quale due elementi chimici, uniti tra loro, si dividono quando subiscono attrazione da parte di altri elementi con i quali hanno maggiore affinità.
Il significato del romanzo di Goethe - Il romanzo è una metafora sulle passioni umane regolate in base all’affinità chimica ed esamina la possibilità della scienza e della chimica di minare o sostenere l’istituzione del matrimonio e le altre relazioni sociali.
Dal momento della sua pubblicazione sino ad oggi, il romanzo di Goethe, ha suscitato una miriade di interpretazioni: alcuni sostengono la tesi della teoria chimica nel rapporto tra i protagonisti; altri affermano la filosofia della natura che affonda le sue radici nel destino; altri ancora pensano alla libera scelta.
Un romanzo complesso che non trova tuttora adeguate spiegazioni anche a causa delle difficili simbologie diversamente interpretabili.
L’opera di Goethe scosse i lettori ottocenteschi per l’esplicita analisi delle attrazioni erotiche al di fuori delle leggi morali e religiose del tempo.
Essa rappresenta la combinazione di problemi coniugali e di critica della società nel diciannovesimo secolo, precedendo una serie di grandi romanzi sul matrimonio (Madame Bovary di Flaubert e Anna Karenina di Tolstoj) ed evidenziando la problematicità dei rapporti della vita nei quali l’uomo si trova a dover affrontare soluzioni dominate da ragione e sentimento.
Trama - I protagonisti principali del libro sono Carlotta ed Edoardo, due aristocratici di mezza età, che, rimasti vedovi entrambi, hanno realizzato il loro sogno di gioventù, sposandosi e ritirandosi nella loro tenuta di campagna, dove la loro unica occupazione è ristrutturare il giardino.
Li raggiungono, un amico di gioventù di Edoardo, il Capitano, e Ottilia, una giovane fanciulla che Carlotta considera come una figlia
Tra i quattro personaggi si scatenerà l’affinità elettiva, un’attrazione magnetica che guiderà Edoardo verso Ottilia e Carlotta verso il Capitano, le due coppie vivranno il loro amore in modo diverso: Edoardo ed Ottilia si faranno travolgere dalla passione e Carlotta ed il Capitano, entrambi razionali, sceglieranno la rinuncia e le convenzioni.
La situazione andrà sempre più complicandosi sino a che tutti i protagonisti non prenderanno atto della realtà che, comunque, non muterà il fatale e tragico epilogo.
Scritto nel 1774 in solo quattro settimane "senza aver mai messo in carta uno schema dell’insieme, o la trattazione da qualche parte" (dirà in seguito Goethe), il romanzo “I dolori del giovane Werther” pone immediatamente il suo autore alla ribalta della narrativa europea.
Eppure, a quasi trecento anni dalla sua pubblicazione, il romanzo affascina e commuove ancora ed è in grado di suscitare in molti giovani gli stessi sconvolgenti sentimenti che condussero Werther all’estremo gesto: il male del protagonista infatti non può essere considerato semplicemente come la sofferenza di un uomo che prova un sentimento non corrisposto, ma la prima e grande rappresentazione del “mal du siècle”, comune a tutti gli uomini dell’età moderna. Proprio per questo “I dolori del giovane Werther” è sì il diario vibrante di un ragazzo che ama l’amore, il romanzo delle pulsioni sentimentali, il dramma dell’insoddisfazione, ma è anche un mirabile esempio di romanzo realistico e psicologico.
Il giovane Werther è sollecitato dalla propria sensibilità squisitamente romantica al coinvolgimento emotivo più totale: si commuove, soffre, partecipa, s’indigna, ama; parla con calore dei vizi e dei sentimenti dell’uomo; difende le passioni ed esalta l’eroismo; ciò nonostante egli è totalmente incapace di agire e non riesce in alcun modo a manipolare la propria situazione sentimentale in maniera vantaggiosa.
In realtà, così come egli sembra amare il suo amore per Lotte più di quanto ami Lotte stessa, allo stesso modo egli ama più vivere nella sofferenza che tentare di liberarsene.
Tutte caratteristiche molto apprezzate del pubblico dell’epoca, tanto che lo stesso Goethe affermerà che il successo del romanzo è dovuto più alle “esigenze esagerate, alle passioni inappagate, ai dolori immaginari” che alle sue qualità artistiche.
A noi, oltre l’interesse per un’opera che ci avvicina come poche al misterioso universo romantico, rimane il fascino di una scrittura coinvolgente, misurata e molto elegante.
“Tu, anima buona, che come lui senti l'interno tormento, attingi conforto dal suo dolore, e fai che questo scritto sia il tuo amico, se per colpa tua o della sorte non puoi trovarne di più intimi.”
“Si può dir molto in favore delle regole; all'incirca quello che si può dire in lode della società civile: un uomo formatosi secondo le regole non farà mai nulla di assurdo e di cattivo, come chi si modella sulle leggi della buona creanza
non sarà mai un vicino insopportabile, né potrà divenire un vero
scellerato; ma tutte le regole, si dica quello che si vuole, distruggono
il vero sentimento e la vera espressione della natura.”
Doveva proprio avvenire che ciò che forma la felicità dell'uomo fosse anche la fonte della sua miseria? Il pieno, caldo sentimento che prova il mio cuore per la viva natura mi dava tanta gioia, trasformava in un paradiso il mondo intorno a me, e deve ora trasformarsi in un insopportabile strumento di pena, in uno spirito tormentatore che mi segue dappertutto? Quando io contemplavo una volta dalla roccia che sporge sul fiume la fertile vallata, e vedevo ogni cosa intorno a me germogliare e sgorgare; quando vedevo quei monti rivestiti di folti alberi dalla base alla cima, quelle valli dagli svariati contorni che amate foreste ombreggiavano, e il mite ruscello che scorreva tra canneti mormoranti e rispecchiava le graziose nuvole che il mite vento della sera cullava nel cielo; quando sentivo gli uccelli animare intorno a me la foresta e vedevo milioni d'insetti danzare allegramente nell'ultimo ardente raggio di sole, e il suo ultimo cadente sguardo liberare dal verde involucro il ronzante scarabeo, e il brulicare della vita mi faceva attento al suolo; e il muschio, che trae dalla dura roccia il nutrimento, e la ginestra che cresce sulle aride colline sabbiose, mi rivelavano l'intima, fiorente, sacra vita della natura: tutte queste cose io abbracciavo col mio cuore ardente, mi sentivo come divinizzato in quella copia di cose belle, e le splendide forme del mondo sconfinato si muovevano ravvivando ogni cosa nel mio animo. Monti enormi mi circondavano, abissi mi stavano dinanzi, torrenti tempestosi precipitavano, fiumi scorrevano ai miei piedi, la foresta e la montagna risuonavano; io vedevo tutte queste forze misteriose agire e creare all'unisono nelle profondità della terra, e poi sulla terra e sotto il cielo brulicare le razze delle svariate creature.
Infelice! Non sei pazzo? non inganni te stesso? Che diverrà questa passione furiosa e senza fine? Io non prego più che per lei; alla mia immaginazione non si presenta altra immagine che la sua, e tutto quello che mi
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Carlotta portava quando io la conobbi, e che da allora parecchie volte le avevo chiesto. C'erano anche due libretti in dodicesimo: il piccolo Omero di Wetstein, un'edizione che avevo spesso desiderato per non dovermi trascinar dietro, passeggiando, quella dell'Ernesti. Vedi come esse prevengono i miei desideri,
30 agosto.
Infelice! Non sei pazzo? non inganni te stesso? Che diverrà questa passione furiosa e senza fine? Io non prego più che per lei; alla mia immaginazione non si presenta altra immagine che la sua, e tutto quello che mi
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circonda nel mondo lo considero soltanto in quanto ha rapporto con lei. E passo così ore felicissime, finché devo strapparmi questa immagine. Ah, Guglielmo, fin dove mi trascinerà il mio cuore? Quando sono stato seduto due o tre ore vicino a lei e mi sazio del suo aspetto, dei suoi gesti, delle sue celesti espressioni, a poco a poco tutti i miei sensi si esaltano, un'ombra si stende dinanzi ai miei occhi, sento appena, mi pare d'essere afferrato alla gola da una mano omicida, e poi il mio cuore, nei suoi battiti precipitosi, cerca sollievo per i miei sensi oppressi e non fa che aumentare il loro turbamento... Guglielmo, spesso non so se vivo! E se qualche volta la tristezza mi vince e Carlotta non mi concede l'estrema consolazione di bagnar di lacrime la sua mano, devo andarmene, fuggire, perdermi lontano nei campi; allora la mia gioia è di arrampicarmi su di un monte scosceso, di aprirmi un sentiero attraverso una foresta impraticabile, attraverso i cespugli che mi feriscono, attraverso le spine che mi lacerano. Allora mi sento un poco meglio, un poco! E se talvolta oppresso dalla stanchezza e dalla sete io soccombo lungo il cammino; se qualche volta nella notte profonda, quando la luna piena brilla sul mio capo, nella foresta solitaria, io mi siedo sul tronco ricurvo di un albero per dare ristoro ai miei piedi feriti, nel chiarore crepuscolare, io mi addormento di un sonno faticoso. Oh Guglielmo, la solitaria dimora di una cella, il saio di crini e il cilicio sarebbero un sollievo al quale la mia anima aspira. Addio! Io non vedo a questa sofferenza altro limite che la tomba.
Non si estende oltre i primi anni dell’Ottocento. In un’accezione più ampia, il termine comprende molteplici scuole e movimenti, fra cui la filosofia idealistica tedesca contemporanea al gruppo dell’Athenaeum, o a esso immediatamente successiva (e particolarmente Fichte, Schelling, Hegel), ma anche quella di Schopenhauer, di Nietzsche e la filosofia della vita. Nel quadro di questo r. inteso in senso più ampio, si delinea inoltre la contrapposizione fra un romanticismo positivo, volto a sottolineare la conciliazione fra finito e infinito, e un romanticismo negativo, che pone invece in rilievo il loro tragico dissidio.
Il primo romanticismo. L’azione del gruppo jenese non può essere considerata meramente letteraria, dal momento che, in quasi tutti i suoi esponenti, l’attività filosofica svolse un ruolo altrettanto importante: anzi è proprio la congiunzione di questi due elementi a costituirne una delle caratteristiche distintive e di maggior rilievo. In questo senso, va anche ricordato che il gruppo, oltre ad annoverare tra i suoi ranghi filosofi del calibro di Schelling e Schleiermacher, ebbe anche stretti legami con Schiller (e attraverso di lui con la filosofia kantiana), con Gothe, e con Fichte, la cui dottrina dell’Io trascendentale esercitò un influsso particolarmente rilevante su Novalis.
BIOGRAFIA HOLDERLIN.
Friedrich Hölderlin nasce a Lauffen am Neckar nel 1770. La sua vita è subito messa alla prova dalla morte del padre quando ha solo due anni. Inizia fra il 1784 e il 1788 gli studi di teologia prima presso i seminari di Denkendorf e Maulbronn, poi all'università di Tubinga dove conosce Hegel e Schelling. Nel 1793 viene abilitato all'esercizio di pastore, ma per motivi ideologici si rifiuta di assumere un simile incarico, rivolgendosi piuttosto alla scrittura e alla carriera accademica. Dopo essere entrato in contatto con Herder, Schiller e Goethe a Jena e a Weimar nel 1796 riprende l'attività di precettore. Successivamente si reca, sempre per tale mansione, a Francoforte sul Meno presso un ricco banchiere della cui moglie Susette s’innamora e che verrà cantata con il nome di Diotima. È uno dei pochi periodi felici della sia vita, ma dopo le umiliazioni subìte dal geloso marito di Susette è soggetto a continue crisi di coscienza. Sempre più agitato e spesso in stato confusionale si sposta a Homburg vor der Höhe per assumere la carica di bibliotecario; serenità e lucidità torneranno a sprazzi nella sua vita fino alla catarsi completa. Si rifugia nella sua torre a Tubinga, sul Neckar. Nell’ anno della morte, il 1843, crea la sua ultima poesia La veduta, che firma con lo pseudonimo di Scardanelli.
IPERIONE.
L'unica opera completa pubblicata da Hölderlin è il romanzo epistolare Iperione, ovvero l'eremita di Grecia. Quest'opera è ambientata in Grecia: al suo centro si trova però una vicenda contemporanea, l'insurrezione greca contro la dominazione ottomana del 1770. Iperione, disgustato dalla meschinità del presente, sogna di richiamare in vita l'antico mondo greco; la sua ardente sete di ideale si fonde in lui con l'amore per Diotima, simbolo e insieme incarnazione della sognata bellezza classica. Quando l'amico Alabanda gli suggerisce l'insurrezione come via pratica per ricreare la Grecia d'un tempo, Iperione lo segue nonostante i moniti di Diotima, secondo cui solo la bellezza può portare all'attuazione dell'ideale. Lo svolgimento degli eventi persuade Iperione che l'ideale non può vivere sulla terra: i combattenti della libertà hanno saccheggiato e assassinato come i loro nemici, e Diotima è morta, vanificando anche la speranza di un'arcadica vita a due, lontano dalla patria e dalla storia. Deluso anche dalla Germania (dove si era recato), rappresentata come il paese della vita macchinale e della scissione interiore, refrattaria a ogni miglioramento, Iperione trova rifugio in una panteistica fusione con la natura, in un'unione estatica fra io e cosmo. La prosa ritmica del romanzo (del quale in seguito l'autore iniziò una redazione in pentametri giambici) è in qualche caso enfatica con le sue reiterate esclamazioni e la metaforica un po' oleografica, ma è pervasa da una profonda commozione trasfigurata in pagine di esemplare limpidezza.
SITOGRAFIA:
Iperione a Bellarmino.
Iperione a Bellarmino.
Io non ho nulla, di cui possa dire: “è mio”.
Lontani e morti sono i miei cari, e più nessuna voce mi giunge di loro.
Il mio compito sulla terra è finito. Pieno di volontà mi sono accinto all’opera, ne ho sanguinato e non ho arricchito di un centesimo il mondo.
Oscuro e solitario mi ritiro ed erro per la mia patria, che mi giace intorno come un gran cimitero, e forse mi attende il coltello del cacciatore, che tiene noi greci per il suo diletto, come la selvaggina del bosco.
Ma tu splendi ancora, sole del cielo! tu verdeggi ancora, o sacra terra! ancora si volvono, crosciando, al mare i fiumi, ed alberi ombrosi bisbiglian nel meriggio. Il canto voluttuoso della primavera culla e assopisce i miei pensieri mortali. La pienezza del mondo vibrante di vita nutre e sazia di ebbrezza il mio misero essere.
O natura felice! io non so che sia di me, quando sollevo lo sguardo innanzi alla tua bellezza, ma tutta la gioia del cielo è nelle lagrime ch’io verso innanzi a te, come l’amante dinanzi all’amata.
Tutto il mio essere tace e si tende, quando il soave alito dell’aura scherza col mio petto. Sperduto nell’immenso azzurro, io volgo spesso lo sguardo nell’alto etere, e giù nel mare sacro, e sento come se uno spirito affine mi tendesse le braccia, come se il dolore della solitudine mi si sciogliesse nella vita degli dei.
Essere uno col tutto, questa è la vita degli dei, è il cielo dell’uomo! Essere uno con tutto ciò che vive, tornare, in un beato divino oblio di sé, nel tutto della natura, questo è il vertice dei pensieri e delle gioie, questa è la sacra vetta del monte, la sede dell’eterna quiete, ove il meriggio perde la sua afa e il tuono la sua voce, e il mare infuriato assomiglia all’ondeggiare d’un campo di spighe.
Essere uno con tutto ciò che vive! con queste parole la virtù depone la sua corazza corrucciata, lo spirito dell’uomo depone lo scettro e tutti i pensieri si dissolvono innanzi all’immagine del mondo eternamente uno, così come le regole dell’artista che lotta scompaiono innanzi alla sua Urania, e il ferreo fato rinuncia al suo dominio e la morte scompare dalla società degli esseri e indissolubilità e giovinezza eterna colman di beatitudine e di bellezza il mondo.
A quest’altezza mi sollevo spesso, mio Bellarmino. Ma un attimo di meditazione mi abbatte giù! Io rifletto e mi ritrovo com’ero prima, solo, con tutti i dolori di ciò ch’è mortale, e l’asilo del mio cuore, il mondo eternamente uno, è dileguato; la natura chiude le braccia, ed io sono come uno straniero dinanzi a lei e non la comprendo.
Oh, non fossi io mai andato nelle vostre scuole! La scienza, in cui mi sprofondai, dalla quale, nella mia follia giovanile, attendevo la conferma della mia pura gioia, quella scienza mi ha tutto guastato.
Io son divenuto sì saggio presso di voi, ho appreso a fondo a distinguermi da ciò che mi circonda, ed ora sono, in questo mondo bello, come cacciato dal giardino della natura, in cui crescevo e fiorivo, e m’inaridisco nel sole meridiano.
Oh! un dio è l’uomo allorché sogna, un mendicante quando riflette; e quando l’entusiasmo è scomparso, egli è là come un figlio fuorviato, che il padre cacciò di casa, e contempla i miseri centesimi che la pietà gli diede pel suo cammino.
da Iperione, a cura di G. A. Alfero, Utet, Torino, 1944 .
Novalis fu uno dei maggiori animatori del circolo romantico di Jena.
Nacque da una famiglia nobile, e divenne orfano presto della madre. Compì gli studi universitari a Jena seguendo i corsi di Reinhold e Schiller, poi a Lipsia, dove fu allievo prediletto di Schlegel, quindi a Wittenberg, dove conseguì la laurea in giurisprudenza nel 1794, intraprendendo la carriera burocratica nell'amministrazione del regno di Sassonia. Nello stesso anno s'innamorò della dodicenne Sophie von Kühn la cui morte prematura, avvenuta nel 1797, ispirò gli Hymnen an die Nacht (1797-99), in versi liberi e prosa ritmica, che apparvero sull'ultimo numero di Athenäum nel 1800. Nella notte, simbolo dell'infinito e dell'assoluto, in opposizione al giorno, simbolo del finito e del contingente, il poeta invoca e celebra la libertà piena dello spirito e il pieno trionfo dell'amore. Dal 1798 N. partecipò attivamente alla vita dei primi circoli romantici, coltivando contemporaneamente lo studio della fisica. Morì giovanissimo di tisi. Nella sua breve vita si può vedere simbolizzato il destino del poeta romantico, proteso verso la morte. La sua grandezza sta soprattutto nella poesia, nella facilità con cui si abbandona ai voli della fantasia, nella limpidezza e determinatezza ch'egli sa dare al suo aereo mondo di sogno, nell'ingenuità vibrante dei suoi entusiasmi e dei suoi mistici ardori, nella sua parola di veggente.
Una delle più famose opere poetiche di Novalis sono certamente gli Inni alla notte, la cui composizione viene spesso associata alla morte prematura della promessa sposa del poeta tedesco, Sophie von Kühn. Questo è sicuramente vero, ma non in maniera assoluta. Infatti, sono molti i temi, i motivi e le chiavi di lettura che concorrono alla scrittura di questo testo poetico. Degli Inni sono pervenute due diverse redazioni e ciò è molto interessante, poiché la differenza sta nel fatto che la prima è in versi liberi, mentre la seconda, presenta uno schema metrico fisso. Ciò è importante perché possiamo capire come la prima redazione fosse quella più passionale, scritta quasi per rispondere ad un turbamento psicologico che non poteva né essere regolato né stabilito in una struttura metrica. Un luogo comune che deve essere superato nella lettura e comprensione degli Inni è quello legato al pessimismo e al dolore universale di Novalis. Egli non esprime in questo testo poetico un incessante desiderio di morte. Al contrario, l’attenzione è focalizzata sul senso della vita, sul passaggio dalla luce/vita alla notte/morte, dal finito all’infinito, in un’ottica prima particolare poi universale, e in questo modo gli Inni si configurano come una sorta di Vangelo romantico, in cui la figura di Cristo appare come l’unico mediatore tra il tempo e l’eternità.
Nel VI Inno sono presenti diverse dimensioni legate al concetto di Sehnsucht, ossia un forte e irraggiungibile desiderio: in primo luogo, la coppia notte/morte, espressione del desiderio del poeta di raggiungere il prima possibile, nel sonno eterno, l’amata defunta. In realtà, potremmo dire che questo suo desiderio, anelito, questa sua brama di morire si configuri più come una forza vitale, caratteristica di tutto questo ciclo poetico. È vero che, leggendo i componimenti di Novalis, si ha l’impressione che il binomio notte/morte si opponga a quello luce/vita ma questa antitesi non è altro che una liberazione dall’ansia e dall’angoscia della quotidianità. Tale forza vitale trae origine anche dalla consapevolezza che questo dualismo vita/morte rappresenti sia conclusione sia principio insieme, in una visione non tanto romantica, quanto cristiana, di una vita dopo la morte.
Sitogafia:
https://www.lacooltura.com/2016/12/inni-alla-notte-novalis-opera-segreti/
Inno terzo
L’Inno III, canta il dolore del poeta che affranto piange sulla tomba dell’amata Sophie. Ad un tratto si spezza il legame con la vita terrena, rappresentato dalla nascita, e lo spirito del poeta si eleva nel regno della notte: la visione dell’amata ha aperto a Novalis le porte del mondo soprasensibile. Il poeta vive in pienezza l’esperienza della vita oltre la tomba.
Novalis, Inno III – Inni alla Notte
Un giorno che versavo amare lacrime, che la mia speranza si dileguava dissolta in dolore, e io stavo solitario vicino all’arido tumulo, che nascondeva in angusto oscuro spazio la forma della mia vita – solitario, come non era mai stato nessuno, incalzato da un’angoscia indicibile – senza forse, non più che l’essenza stessa della miseria. Come mi guardavo attorno in cerca d’aiuto, non potevo proseguire né arretrare, e mi aggrappavo alla vita sfuggente, spenta, con nostalgia infinita – allora venne dalle azzurre lontananze: – dalle alture della mia beatitudine un brivido crepuscolare – e d’un tratto si spezzò il cordone della nascita, il vincolo della luce. Si dileguò la magnificenza terrestre e il mio cordoglio con essa – confluì la malinconia in un nuovo imperscrutabile mondo – tu estasi della notte, sopore del cielo ti posasti su di me – la contrada si sollevò poco poco; sopra la contrada aleggiava il mio spirito sgravato e rigenerato. Il tumulo divenne una nube di polvere – attraverso la nube vidi i tratti trasfigurati dell’amata. Nei suoi occhi era adagiata l’eternità – io afferrai le sue mani e le lacrime divennero un legame scintillante non lacerabile. Millenni dileguarono in lontananza, come uragani. Al suo collo piansi lacrime d’estasi per la nuova vita. – Fu il primo, unico sogno – e solo d’allora sentii eterna, inalterabile fede nel cielo della notte e nella sua luce, l’amata.
Sitografia:
https://berlinoagazine.com/iii-inno-notte-novalis/m
La storia del romanticismo tedesco è legata non solo ad importanti autori e filosofi, ma anche a città come Heidelberg. Il romanticismo di Heidelberg è legato alle figure di Brentano e Arnim, che strinsero un forte sodalizio in una delle città universitarie più importanti in Germania. Heidelberg sembrò la città romantica per eccellenza, culla della collezione di poesie popolari di Brentano ed Arnim, ''Des Knaben Wunderhorn''.
Ugualmente importante fu la rivista Zeitung für Einsiedler pubblicata da Arnim e Brentano, fondamentale perché segna una netta linea di confine fra il romanticismo cosmopolita di Jena ed il posteriore romanticismo nazionalistico e popolaresco di Heidelberg.
Al gruppo di Heidelberg appartennero, oltre ai due fondatori, Chamisso, Eichendorff, i due fratelli Grimm e Görres.
Bibliografia: https://www.lacooltura.com/2018/04/circolo-di-jena-heidelberg-berlino/
Chamisso
Poeta e naturalista (1781 - 1838, Berlino)
Per sfuggire alla Rivoluzione, la sua famiglia nel 1790 emigrò dalla
Francia in Germania.
Chamisso allora, entrò nell'esercito prussiano. Quando scoppiò la guerra contro Napoleone si congedò. Si trasferì poi in Francia e in questi anni si delineò il dissidio fra le due patrie che amareggiò la sua esistenza. Attratto da viva passione per le lettere, lusingato di diventare poeta tedesco, costituisce con gli amici un piccolo cenacolo letterario. Ma la devozione alla patria nuova non soffoca in lui la passione per l'antica; ed egli si agita in un contrasto doloroso, quando, voltasi la Prussia nel 1806 contro Napoleone, è costretto a prender le armi contro il proprio paese. Nel 1813 compose Peter Schlemihls wundersame Geschichte, storia dell'uomo che vendette al diavolo la sua ombra, piccolo capolavoro della letteratura romantica, sospesa com'è tra il reale e il fiabesco.
Bibliografia: http://www.treccani.it/enciclopedia/adalbert-von-chamisso/
http://www.treccani.it/enciclopedia/adalbert-von-chamisso_%28Enciclopedia-Italiana%29/
Peter Schlemihls wundersame Geschichte (Storia straordinaria di Peter Schlemihl) è un romanzo del poeta Chamisso.
Il racconto, pensato per i ragazzi, venne illustrato in chiave adulta dal pittore tedesco E.K. Kirchner in un lavoro per la stampa che comprende una litografia e sette xilografie a colori.
Un giovane povero, Peter Schlemihl, giunto in una nuova città in cerca di lavoro si reca presso il signor Thomas John con una lettera di raccomandazione. Lì incontra uno strano uomo (che è in realtà il demonio) che, deciso ad acquistare la sua ombra, gli offre in cambio una borsa magica, dalla quale è possibile estrarre all'infinito monete d'oro. Egli rimane inizialmente stupito dall'offerta, ma alla proposta delle monete d'oro accetta lo scambio. Da quel momento iniziano le sue difficoltà: le persone rimangono stupite e spaventate da quest'uomo a cui manca l'ombra, e lo rifiutano in quanto è diverso e strano. Neanche l'oro riesce a consolare la sua solitudine e ad eliminare le difficoltà, che lo costringono a scappare dalla città in cui era giunto. Lì viene accolto come un benefattore grazie all'aiuto del suo fidato servitore Bendel, e viene ricoperto di tutti gli onori. Egli rimarrà tuttavia deluso e infelice a causa dell'impossibilità di sposare la donna che ama, Mina, a causa della resistenza dei suoi genitori, quando scoprono che il loro promesso genero non ha un'ombra. Peter decide allora di fuggire dal mondo civile, gettando via la borsa di denaro, causa dei suoi problemi, e donando le ricchezze rimastegli al fedele Bendel. Viene raggiunto dall'uomo con la giacca grigia, che è in realtà un demonio, che gli propone di barattare la sua ombra in cambio dell'anima; Peter tuttavia rifiuta questa proposta. Il suo viaggio continua, ma le scarpe gli si rovinano ed è costretto a comprare un nuovo paio di stivali: con stupore si accorge di aver acquistato gli stivali delle sette leghe (ripresi dalla tradizione fiabesca). Con questi egli viaggia per il mondo, scopre che Bendel e Mina con i suoi soldi hanno costruito un ospizio per i poveri in suo nome, e ritrova la serenità, se non la felicità, negli studi di scienze naturali.
Bibliografia:
http://www.treccani.it/enciclopedia/peter-schlemihls-wundersame-geschichte/
https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_straordinaria_di_Peter_Schlemihl
TEMATICHE
Provvidenza
«siamo ruote che mettono in moto altre ruote, e queste sono, a loro volta, messe in moto da altre, ancora. Quanto deve avvenire, avverrà: mai potrà prescindere da quella Provvidenza, il cui valore appresi, dunque, a valutare come merita sia riguardo al mio destino, sia riguardo al destino altrui che il mio ebbe a toccare».
Esattamente un anno e un giorno dopo il loro primo incontro che ricompare il diavolo, rivelando ora tutta la sua natura infida e diabolica, raffinatamente malvagia: egli propone a Schlemihl un nuovo accordo: oltre all’infinita ricchezza può riavere la sua ombra, che gli permetterebbe di sposare Mina, insidiata dall’ex assistente del protagonista, il maligno Rascal, ma in cambio, questa volta, dell’anima. Schlemihl è tentato, ma rifiuta. E fugge, di nuovo, licenziando Bendel e consegnando Mina a Rascal. Il suo rifiuto non è certo la manifestazione di una volontà ferrea, perché la volontà nel racconto di Chamisso è abolita, e non resta che la Provvidenza.
Dualismo tra fantasia e realtà
«Ombre di persone già conosciute mi passarono davanti all’anima. Improvvisamente, gli domandai:
– Lei possiede anche una firma del signor John?
Si mise a ridere:
– Da un così buon amico, proprio non ne ho mai avuto bisogno.
– E allora dov’è, Dio mio? Lo devo sapere, assolutamente!
Infilò, esitante, la mano nella tasca e da lì, tirata per i capelli, apparve la figura deformata, sbiancata di Thomas John: le sue labbra blu e cadaveriche si muovevano, e nient’altro riuscivano a pronunciare se non questa terribile sentenza: “Justo judicio Dei judicatus sum; justo judicio Dei comdemnatus sum” [“Dal giusto giudizio di Dio io venni giudicato, dal giusto giudizio di Dio io venni condannato”, Giovanni, 7, 24]. Inorridii. Gettai con un gesto rapido, imprevisto la borsa tintinnante giù, nel fondo dell’abisso, poi gli rivolsi le parole estreme:
– Creatura maligna! Io ti scongiuro, nel nome di Dio: allontanati da qui, e possa io non vederti mai, mai più!
Torvo, quello si alzò, scomparendo dietro i massi rocciosi che facevano da confine a quel luogo selvaggio e incolto».
La perdita dell'ombra è l'enigma che affascina chi legge: simbolo inesauribile e ambiguo, l'ombra è l'arcano da cui trae la sua forza vitale questo racconto metafantastico. Il dualismo narrativo è evidenziato dal fattore ''fantasia'' e quello ''realtà'': elementi narrativi realistici si contrappongono, infatti, ad elementi narrativi fantastici. Tra elementi fantastici che compongono il romanzo dandogli carattere fantastico vi sono: la presenza del demonio, l'acquisto da parte di quest'ultimo della sua ombra, la presenza di una borsa magica e quella degli stivali delle sette leghe.
Sottoargomento
Corruttibilità dell'uomo
«Lui assentì, si mise in ginocchio davanti a me e potei vederlo staccare con meravigliosa perizia la mia ombra dal terreno, dalla testa fino ai piedi, sollevarla, arrotolarla, piegarla e, alla fine, riporsela in tasca. Poi si alzò, si inchinò ancora una volta, sparì dietro ai cespugli delle rose»
Il racconto di Chamisso si apre subito con l'accordo tra il protagonista, il povero Peter Schlemihl, narratore in prima persona della sua straordinaria storia, indirizzata proprio all’amico Chamisso, e il diavolo. Questo l’accordo: Peter Schlemihl cede la sua ombra in cambio di una mitica borsa magica: inesauribile fonte di denaro. Senza pensarci troppo, anzi, senza pensarci affatto.
Solitudine e angoscia
«amico mio, se vuoi davvero vivere con gli uomini, impara a essere rispettoso in primo luogo della tua ombra, e poi del tuo denaro. Ma se, al contrario, vuoi vivere solo con te stesso, e magari con la parte migliore di te stesso, allora non ti serve proprio nessun consiglio».
L’ombra è convenzione, una sorta di attestato di conformismo, di omologazione. Chi ne è sprovvisto è diverso e straniero, come tale reietto e ramingo. Si veda in tal senso la conclusione del racconto, con i consigli di Schlemihl a Chamisso. È proprio a causa delle convenzioni sociali che Schlemihl ha dato via la sua ombra in cambio di denaro, ma, escluso dall’umano consorzio, egli trova se stesso, la parte migliore di se stesso, e torna all’essenziale, lontano dalle sovrastrutture sociali che non fanno altro che racchiudere il superfluo, e non solo a livello materiale, ma anche a livello affettivo e sentimentale. Al termine del racconto Peter Schlemihl appare davvero come un uomo compiuto. E la principale sconfitta è la vanità, di cui il Grigio, il diavolo è una sorta di rappresentazione allegorica.