av stellahg demana för 1 dag sedan
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L'EDUCAZIONE CIVICA MODERNA SI BASA SU VALORI DERIVATI DAL DIRITTO ROMANO, COME IL RISPETTO DELLE LEGGI,LA PARTECIPAZIONE ATTIVA ALLA VITA PUBBLICA E LA TUTELA DEI DIRITTI,PRINCIPI GIA' PRESENTI NELLE LEGGI ROMANE E NELLE PRATICHE GIURIDICHE.
ROMA APPLICAVA PRINCIPI DI EQUITA',GIUSTIZIA NELLA DECISIONI INDIVIDUALI, CONCETTI CHE OGGI GUIDANO IL DIRITTO MODERNO, DOVE TUTTI SONO UGUALI DAVANTI ALLA LEGGE E OGNI CITTADINO HA DIRITTO A UN GIUSTO PREOCESSO.
NEL DIRITTO ROMANO , LA CITTADINANZA CONFERIVA DIRITTI E DOVERI LEGALI, COME IL DIRITTO DI VOTO E DI PARTECIPAZIONE ALLA VITA POLITICA. OGGI, LA CITTADINANZA INCLUDE DIRITTI SIMILI , ESTESI A TUTTI I CITTADINI, E OBBLIGHI COME IL RISPETTO DELLE LEGGI E LE PARTECIPAZIONE CIVICA
Da più parti dell’Impero iniziarono quindi a giungere notizie di proteste e sollevazioni contro Nerone. Il Senato, tuttavia, non osava intervenire, temendo nuove repressioni.
La rivolta decisiva fu quella della Spagna, da dove il legato imperiale Servio Sulpicio Galba mosse nel 68 d.C. verso Roma. Solo allora il Senato trovò il coraggio per dichiarare Nerone nemico dello Stato (significava che chiunque poteva ucciderlo), mentre la guardia pretoriana si affrettava a riconoscere Galba come successore di Nerone.
Nerone rimase completamente isolato; tentò la fuga, ma poi, vistosi perduto, si fece uccidere da un liberto il 9 giugno del 68. Con lui finiva la dinastia giulio-claudia.
L’imperatore figlio di Agrippina fu una figura controversa: debole, pazzo, sanguinario, incontenibile, perverso; ma anche un uomo amante dell’arte e della bellezza (nel 60 aveva istituito i Neronia, una gara quinquennale di canto, musica, poesia e oratoria, nei quali Nerone si esibiva nelle vesti di poeta o di musico).
Fu anche un grandissimo uomo di Stato. Durante i quattordici anni del suo regno l’impero conobbe infatti un periodo di pace, di prosperità, di dinamismo economico e culturale quale non ebbe mai né prima né dopo di lui.
La pessima fama si deve, con molta probabilità, alla convergenza di due tradizioni ostili: la storiografia senatoria, avversa a lui come agli altri successori di Augusto; la tradizione cristiana, che vide in lui il primo grande persecutore della nuova religione.
I suoi eccessi preoccupavano il Senato sia sotto il profilo politico sia sul piano economico. Le enormi spese per ludi e spettacoli e per la ricostruzione di Roma dopo l’incendio, condotta tra l’altro con criteri razionali e con largo uso del cemento, aprirono una voragine nel bilancio pubblico.
Fu poi sgradita agli aristocratici la riforma monetaria con cui Nerone operò una svalutazione dell’aureo (diminuendone il contenuto d’oro), per alleggerire il debito dello Stato.
Destavano infine fortissima ostilità il gusto ellenizzante ostentato da Nerone; la sua evidente preferenza per la Grecia (dove si trattenne tra il 66 e il 67); e parve inoltre intollerabile, in una situazione di grave crisi delle finanze, la sua decisione di concedere ai Greci l’esenzione fiscale.
Nerone fu l’ultimo imperatore della dinastia giulio-claudia. Regnò su Roma dal 54 d.C. al 68 d.C. Il suo vero nome era Lucio Domizio Enobarbo. Era nato ad Anzio il 15 dicembre del 37 d.C. da Agrippina, sorella dell’imperatore Caligola, e Gneo Domizio Enobardo, morto nel 40.
Nel 49 Agrippina sposò suo zio, l’imperatore Claudio, e convinse quest’ultimo ad adottare Nerone. Poi nel 53, Agrippina fece sposare suo figlio Nerone con Ottavia, la figlia dell’imperatore Claudio: avevano rispettivamente 16 e 12 anni. L’anno successivo, 54 d.C., l’imperatore Claudio morì, per aver mangiato dei funghi velenosi: forse fu proprio Agrippina, che voleva affrettare la successione al trono di Nerone, ad aver avvelenato Claudio. Poche ore dopo la morte di Claudio, Nerone, a soli 17 anni, fu riconosciuto imperatore dall’esercito e dal Senato. L’anno dopo, nel 55 d.C., Nerone fece assassinare Britannico, figlio di Claudio (e dunque legittimo erede al principato).I primi cinque anni del principato di Nerone si distinsero come un periodo di buon governo, rispettoso dell’autorità senatoria, sotto l’influenza del prefetto del pretorio Afranio Burro e del filosofo Seneca, precettore dell’imperatore.A partire dal 58 ebbe inizio invece una svolta in senso autocratico: Nerone avanzò una serie di proposte politiche difficilmente praticabili, come l’abolizione delle imposte indirette e una riforma dello statuto degli appalti, che avrebbe sottratto alle casse dello Stato entrate insostituibili. Nello stesso anno l’imperatore intraprese una relazione con Poppea Sabina, moglie del generale Otone. Istigato da Poppea, dopo aver diffuso la voce di un coinvolgimento della madre in un attentato alla sua vita, nel 59 Nerone fece uccidere Agrippina inscenando un incidente navale nella baia di Napoli.
Dopo aver fatto assassinare la prima moglie Ottavia, nel 62 sposò Poppea, che morì, secondo la tradizione, per un calcio al ventre datole da Nerone, mentre era incinta.
Nel 64 d.C. un terribile incendio distrusse gran parte di Roma. Nerone trovò un comodo capro espiatorio nei cristiani, seguaci di un culto che allora era considerato strano e misterioso. I cristiani subirono allora una prima feroce persecuzione.
Dopo l’incendio, l’imperatore Nerone fece costruire a Roma molti edifici pubblici e restaurare quelli danneggiati; stabilì norme che prevedevano l’uso di materiali refrattari al fuoco, i criteri di costruzione, la distanza di sicurezza tra un edificio e l’altro. Fece edificare la Domus aurea, il palazzo imperiale.
Nel 65, scoperta una congiura contro di lui organizzata dal senatore Calpurnio Pisone (leggi La Congiura di Pisone), avviò un vera e propria politica di terrore, con l’uso indiscriminato e generalizzato dall’accusa di lesa maestà. Caddero vittime della sua crudeltà molti personaggi illustri, come Seneca, il maestro prima tanto amato (leggi La morte di Seneca raccontata da Tacito), Petronio, l’autore del Satyricon, e Lucano.
Tra la classe dirigente romana si diffuse il terrore. Delatori in cerca di ricompense facevano a gara nel presentare accuse infondate; mentre le condanne a morte erano spesso eseguite senza alcuna prova, per futili motivi, o per confiscare le ricchezze dei giustiziati. Nerone imperatore di Roma si era trasformato in un tiranno crudele.
La cattiva fama che circonda la figura di Claudio è dovuta in gran parte al fatto che a quel tempo gli storici erano più vicini al senato ostile ad alcune scelte dell’imperatore (in particolare le aperture verso l’aristocrazia provinciale).
Non giovò poi alla sua immagine le ultime due delle sue quattro mogli: Messalina e Agrippina, discutibili e potenti.
Messalina, la terza moglie, proverbiale per la sua dissolutezza, si serviva del suo potere per procurarsi sempre nuovi amanti. Fu condannata a morte, forse per una congiura ordita contro il marito.
L’anno dopo, Claudio si risposò con la nipote Agrippina minore, figlia di Germanico e sorella di Caligola. Convinse Claudio ad adottare suo figlio Nerone, nato dalle sue precedenti nozze con Gneo Domizio Enobardo. Il futuro imperatore fu adottato da Claudio nel 50 d.C., diventando coerede con Britannico, il figlio che Claudio aveva avuto da Messalina.
Temendo che la successione potesse sfumare a vantaggio del più giovane Britannico, nel 54 d.C., Agrippina d’accordo con il prefetto del pretorio Afranio Burro, uccise il marito con un piatto di funghi avvelenati: Nerone fu acclamato imperatore dai pretoriani. Poco dopo il nuovo imperatore provvide all’eliminaizone del fratello adottivo Britannico.
L’imperatore Claudio riorganizzò l’apparato statale, istituendo uffici che affidò a competenti e fedeli liberti. Già in età repubblicana era tradizione delle famiglie importanti affidare ai più capaci e fedeli degli schiavi o dei liberti funzioni di segreteria e di amministrazione del patrimonio. L’usanza fu seguita anche dai primi imperatori.
Durante il governo di Claudio assunsero grande rilievo i liberti imperiali. Alcuni divennero addirittura consiglieri e stretti collaboratori del sovrano; concentrarono nelle loro mani un potere immenso, suscitando un profondo malcontento tra i cavalieri e i senatori, che si vedevano umiliati ed emarginati.
L’imperatore romano Claudio risanò l’amministrazione finanziaria dopo i dissesti operati da Caligola; fece realizzare grandiose opere pubbliche, tra cui il porto di Ostia e un nuovo acquedotto per Roma, lungo circa 70 km; favorì la romanizzazione delle province, estendendo a nuove popolazioni la cittadinanza romana e aprendo il senato e le altre magistrature alla nobiltà provinciale.
Infine, in politica estera, Claudio annesse all’Impero di Roma una serie di province, quali la Mauritania, la Tracia e la Giudea; nel 42-43 d.C. conquistò la Britannia meridionale, che assicurò a Roma importanti risorse minerarie.
Claudio imperatore romano della dinastia giulio-claudia. Nominato imperatore di Roma il 24 gennaio del 41 d.C., dopo l’assassinio di Caligola, suo nipote e figlio del fratello Germanico. Secondo la tradizione, muore avvelenato nel 54, forse per opera della sua quarta moglie Agrippina, desiderosa di assicurare al figlio Nerone il trono.
Claudio era da tutti considerato un personaggio insignificante. Secondo il biografo Svetonio, «perfino più stupido di Claudio» era un insulto messo in circolazione dalla stessa nonna del futuro imperatore, Livia. E, sempre secondo il suo racconto, proprio l’inettitudine, la goffaggine e la salute incerta di Claudio indussero i pretoriani a nominarlo seduta stante principe, dopo averlo scoperto tremante, nascosto dietro una tenda mentre Caligola veniva ucciso.
La plebe appoggiò l’atto di forza dei pretoriani e il senato non potè che adeguarsi. Del resto Claudio, goffo, malaticcio e con fama di inetto, pareva ai senatori un principe facilmente malleabile. Invece sorprese tutti: Claudio imperatore di Roma consolidò il principato e rafforzò i poteri del principe nei confronti del senato.
Fu assassinato il 24 gennaio del 41 d.C. dai pretoriani, appoggiati dalla plebe, che lo avevano portato al potere e che ora al suo posto, senza neppure consultare il senato, acclamarono il cinquantenne Claudio, fratello di Germanico e zio di Caligola.
Quello stesso giorno furono uccise dalla guardia pretoriana anche Cesonia e Giulia Drusilla, rispettivamente la moglie e la figlia di Caligola.
Il senato ordinò la damnatio memoriae (condanna della memoria) e il suo corpo fu dato alle fiamme.
Svetonio nella sua opera Vite dei dodici Cesari racconta che Caligola era solito portarsi a cena uno dei suoi cavalli, che aveva chiamato Incitatus e si ripromise di nominarlo console. Incitatus non divenne console, ma la sua intenzione di farlo dimostrava il disprezzo dell’imperatore per le istituzioni romane.
Nel suo breve principato, durato dal 37 al 41 d.C., Caligola abbandonò il formale rispetto per il regime repubblicano e cercò di trasformare il principato in una monarchia assoluta di tipo orientale (un’idea profondamente estranea alla tradizione romana). Infatti, introdusse a corte il cerimoniale del prostrarsi ai piedi del principe; divinizzò la sorella Drusilla, morta di malattia nel 38 d.C., all’età di vent’anni; obbligò gli ebrei (ostili all’idea che l’imperatore fosse un dio) a introdurre nel Tempio di Gerusalemme una statua del principe.
A questi atti simbolici, ne affiancò altri ben più concreti e dannosi: dissipò il patrimonio ereditato da Tiberio in donativi ai soldati e al popolo e in abbellimenti urbanistici; aumentò le tasse per ripagare gli sperperi di corte; instaurò un regime tirannico e sanguinario: bastava involontariamente urtare la suscettibilità dell’imperatore per essere condannati a morte. Una vittima illustre di questa follia omicida fu il prefetto del pretorio Macrone, lo stesso che aveva convinto il senato ad avallare la scesa al trono di Caligola.
In politica estera si avventurò in improbabili spedizioni di conquista, come quella in Britannia, che si concluse in un nulla di fatto.
Caligola imperatore romano dal 37 al 41 d.C., salì al trono a 25 anni di età. Era nato ad Anzio nel 12 d.C., figlio di Germanico e di Agrippina Maggiore. Il suo nome era Gaio Cesare Germanico. Il soprannome Caligola gli era stato dato per i calzari militari (caligae) che portava sin da bambino.
Era stato suo zio Tiberio, imperatore di Roma dal 14 al 37 d.C., a designarlo come suo successore al trono assieme al cugino Tiberio Gemello.
Il 18 marzo del 37 d.C. i pretoriani e il senato acclamarono imperatore Caligola. L’anno seguente, 38 d.C., l’imperatore fece uccidere Tiberio Gemello che reclamava la sua associazione al governo, accusandolo di aver partecipato a una congiura contro di lui.
Disgustato dal clima politico che si era creato nella capitale, nel 26 d.C. l’imperatore si ritirò nella villa Jovis a Capri.
La sua lontananza favorì l’ascesa di Seiano, che controllava le coorti di pretoriani intorno alla capitale e godeva quindi di un terribile potere. Ma nel 31 d.C. Seiano venne accusato di cospirazione e fatto giustiziare.
Gli ultimi anni del regno furono segnati da un clima di sospetto e di paura che provocarono altre repressioni spesso ingiustificate.
Morì il 16 marzo del 37 d.C. e la sua scomparsa fu salutata a Roma come una liberazione: il senato non gli riservò l’apoteosi.
Buon amministratore (alla sua morte lasciò all’erario 2700 milioni di sesterzi), proseguì l’opera di risanamento economico avviata dal suo predecessore, favorendo la ripresa dell’agricoltura e tutelando le province con alleggerimenti fiscali e con un maggior controllo sugli abusi dei funzionari pubblici.
In politica estera adottò una linea mirante al consolidamento dei confini dell’Impero di Roma, senza lanciarsi in nuove conquiste; con l’appoggio del nipote Germanico riprese le campagne militari contro le tribù barbare stanziate oltre il corso del Reno, che continuavano a compiere incursioni in territorio romano. In Oriente, stipulò nuovi accordi con i bellicosi Parti.
Tiberio ricercò la collaborazione con il senato, che però si dimostrò sempre più ostile nei confronti di quell’imperatore schivo, di carattere introverso, incapace di destreggiarsi nei giochi della politica romana. Lotte per il potere, vere o presunte, avvelenavano il clima della corte. Lo stesso principe, influenzato del prefetto del pretorio (il comandante dei pretoriani, la guardia personale dell’imperatore) Lucio Elio Seiano – che gli instillava sospetti di congiure contro di lui mirando in realtà a prenderne il posto – si lasciò andare a eccessi repressivi, con processi e condanne capitali per lesa maestà (ossia offesa alla persona del sovrano).
Tiberio imperatore romano dal 14 al 37 d.C. fu il secondo imperatore romano dopo Ottaviano Augusto. Figliastro di Augusto, in quanto nato dal primo matrimonio di sua moglie Livia Drusilla, venne da lui adottato nel 4 d.C. e associato al trono.
Augusto fece conferire a Tiberio la potestà tribunizia (assicurava l’inviolabilità personale al suo detentore) e il comando proconsolare (garantiva il controllo dell’esercito e delle province), poteri necessari per dargli autorità legale, soprattutto nei confronti del senato. D’altra parte, Tiberio discendeva da un’antica famiglia senatoria, la gens Claudia, ed era quindi accettabile agli occhi del senato stesso.
Ottaviano Augusto riuscì a garantire a Roma un lungo periodo di pace, prosperità e stabilità politica (passato alla storia come "Pax Augustea"), anche se ciò implicò la fine della repubblica e la nascita dell’Impero e con questo l'inizio del culto del sovrano.
Uno dei simboli dell’impero di Augusto è l’altare dell’Ara Pacis Augustae a Roma, eretto nel 9 a.C. per testimoniare la pace e la prosperità conquistate dopo anni di lotte civili
La fama di Ottaviano Augusto è legata alle sue innovative riforme che aumentarono l'efficienza della macchina organizzativa romana. Augusto riorganizzò l’esercito, il sistema amministrativo ed economico. Istituì quello che può essere considerato il primo servizio postale organizzato, costruì terme ed acquedotti e regolamentò persino gli spettacoli tra gladiatori.
Ottaviano Augusto si circondò sempre di ottimi collaboratori, tra cui Clinio Mecenate, scopritore e protettore di artisti come Virgilio e Orazio. Tutto ciò contribuì al fiorire delle arti, caratterizzate da raffinatezza, eleganza e sobrietà.
Probabilmente Ottaviano Augusto nel promuovere l'arte non fu spinto solo dalla pura passione: poesia e arti figurative venivano infatti impiegati come mezzi di propaganda per diffondere in tutto l’impero un’immagine conforme tesa ad esaltare il sovrano e l’intera famiglia Giulia.
Grande sostenitore del Mos Maiorum (la morale tradizionale romana) e del culto della famiglia (emanazione delle Leges Iuliae), non disdegnava tuttavia la compagnia di giovani (spesso giovanissime) donne che, secondo Svetonio, venivano circuite dalla stessa moglie Livia Drusilla.
Nel 12 a.C. Ottaviano Augusto ottenne il titolo di Pontifex maximus, la più alta carica religiosa a cui un romano potesse aspirare.
Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto (27 a.C. - 19 d.C.) era di bassa statura e di salute cagionevole. Pare però che fosse dotato di uno sguardo carismatico che costringeva i suoi interlocutori a rivolgere gli occhi a terra, come folgorati da un “divino vigore”, come lo definì lo scrittore Svetonio.
Ottaviano Augusto raggiunse il potere dopo una sanguinosa guerra civile sorta in seguito alla morte di Giulio Cesare che lo aveva nominato suo erede. Ottaviano fu abile nell’eliminare (anche fisicamente) tutti i suoi avversari politici e guadagnarsi il titolo di Augusto nel 27 a.C..
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