av Selene Anzalone 7 år siden
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In Italia nel corso del Duecento si sviluppò una corrente filosofica letteraria che prese ispirazione dalla poesia cortese provenzale, inizialmente nel Nord dell'Italia e successivamente presso la corte di Federico II di Svevia, situata a Palermo. Nacque così la Scuola poetica siciliana. Non si trattò di una vera e propria scuola dal punto di vista istituzionale, ma prese le sembianze di un movimento culturale. Alla morte di Federico II avvenuta nel 1250 e a quella del figlio Manfredi nel 1266, si esaurì l'esperienza della Scuola siciliana. Di conseguenza l'asse culturale dalla Magna Curia si spostò nei comuni ghibellini della Toscana: l'eredità formale, i temi e i testi della Scuola siciliana furono raccolti da numerosi rimatori e vennero "toscanizzati".
La corte di Federico II fu un luogo di incontro e fusione di molte culture per via della sua posizione geografia e si arrivò alla creazione di un gruppo di poeti e intellettuali che ruotavano intorno alla figura del re della Sicilia. Quest'ultimo impose nella scuola poetica la creazione di una nuova poesia che fosse laica e contrapposta, quindi, alla Chiesa. I poeti di questa corrente letteraria erano esclusivamente funzionari di corte, di conseguenza uomini fidati del re.
Guido delle Colonne nacque probabilmente a Messina nel 1210 e morì nel 1287. Non ci restano molte notizie sulla vita del poeta. Sappiamo che egli fu giudice a Messina e che partì per l'Inghilterra per far visita al re Edoardo I. Si suppone che sia l'autore della "Historia destructionis Troiae" commissionata dal vescovo di Salerno. Quest'opera ebbe grande successo e venne tradotta sia in lingua italiana sia in altre lingue straniere. Guido delle Colonne è considerato dagli storici della letteratura uno dei pionieri della poesia siciliana. Ebbe anche la stima di Dante, dovuta all'esemplare schema metrico. Per quanto riguarda le sue opere, ci rimangono soltanto cinque canzoni; una tra queste è "La mia gran pena e lo gravoso affanno",incentrata sulla felicità di una relazione amorosa andata a buon fine nonostante vari ostacoli.
Giacomo Da Lentini, conosciuto anche come Jacopo Da Lentini o il "Notaro" é stato un poeta e notaio italiano.
É considerato il "caposcuola" dei rimatori della Scuola poetica siciliana e l'ideatore del sonetto.
Nacque a Lentini in provincia di Siracusa intorno al 1210.
Fu probabilmente comandante del castello di Garsiliato (Mazzarino).
Al "Notaro" si attribuiscono 16 canzoni, 22 sonetti, due dei quali sono in "tenzone" (dibattito a più voci) con l'abate di Tivoli e Jacopo Mostacci.
É a lui che si deve la rivisitazione dei temi dalla poesia provenzale in volgare siciliano.
Ha composto un canzoniere dove si trovano vari generi letterari: la canzone di argomento sublime, la canzonetta con temi narrativi e spesso dialogati e il sonetto sulla natura dell'amore.
La poesia adopera le più raffinate tecniche retoriche e un siciliano colto e depurato.
Morì intorno al 1260 all'etá di cinquanta anni.
Vi è un suo ritratto nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e in un documento rinvenuto a Messina, datato 5 Maggio 1240, è stata individuata la sua firma.
Pier della Vigna nacque a Capua intorno al 1190, da una famiglia benestante. Condusse gli studi a Bologna e venne presentato alla corte di Federico II da Bernardo l'arcivescovo di Palermo. Iniziò come notaio, in seguito fu giudice ed infine divenne uno dei principali collaboratori dell'imperatore. Ricoprì la carica di logoteta, ovvero di superiore di tutti i notai e custode dei sigilli dell'Impero. Svolse mansioni di rilievo anche a Roma e in Inghilterra, dove registrò il matrimonio fra l'imperatore e Isabella, la sorella del re Enrico III. Per ringraziarlo, il re lo nominò suo vassallo. La sua carriera giunse al termine nel 1249 quando venne coinvolto in una congiura. Venne arrestato per ordine del sovrano di Cremona. Si suppone che venne incolpato di corruzione o di tentato avvelenamento del re. Fu fatto accecare da Federico II nella piazzetta di San Gimignano. Si suppone che morì ferendosi alla testa. Pier della Vigna è considerato uno dei massimi esponenti della prosa latina medievale. La sua opera più famosa è l'Epistolario scritto in lingua latina.
La Scuola poetica siciliana si sviluppò tra il 1230 e il 1250 presso la corte di Federico II, situata a Palermo, della quale ci rimane ancora traccia presso il Palazzo dei Normanni e il Palazzo della Favara. Il primo è conosciuto anche come Palazzo reale, è sede dell'Assemblea Regionale siciliana e patrimonio dell'umanità. Ha la forma di una forcella capovolta, i cui bracci meridionali intersecano i manufatti della Cappella Palatina. Delle quattro torri costruite inizialmente, ce ne restano soltanto due: la Pisana e la Joaria. Il Palazzo reale è il frutto di una combinazione di stili diversi, quali il barocco, il neogotico, rinascimentale, normanno, arabo, bizantino e romanico.
In quel periodo era la sede delle attività governative, mentre quello letterarie si svolgevano nel Palazzo della Favara.
Quest'ultimo presenta una struttura quadrangolare con uno stile prettamente islamico. Per volere di Ruggero II il Palazzo venne circondato da un bacino artificiale e nell'unico lato non bagnato da questo lago possiamo trovare quattro entrate, due delle quali portano all'Aula Regia e alla Cappella Palatina.
Federico II era un uomo di grande cultura, conosceva molte lingue come il francese, il tedesco, il greco, il latino, l'arabo, il volgare siciliano e l'ebraico. Per via della sua inestinguibile curiosità intellettuale si guadagnò l'appellativo di Stupor Mundi, meraviglia del mondo.
Con lui vi fu un periodo di estrema calma e serenità, riuscì a compiere addirittura la sesta crociata senza combatterla: andò in Terrasanta con delle guardie del corpo musulmane, in uno sfarzo di tipo orientale, distinguendosi così da tutti i crociati precedenti, il che venne apprezzato dal sultano al-Malik al-Kāmil al punto tale di stipulare un trattato di pace che fu simbolo dell'apertura della tolleranza di Federico verso gli Arabi e l'Islam.
Il re della Sicilia fu anche un letterato e scrisse un trattato di falconeria "De arti venandi cum avibus", che è anche un libro simbolico e filosofico; fu autore anche di alcuni componenti poetici, ritrovabili nelle raccolte della Scuola siciliana.
L'unico tema ricorrente era quello amoroso, per via della monarchia assoluta non vi fu presenza di temi politici. L'amore era descritto secondo i canoni cortesi. Era adultero e inappagato e perciò generava sofferenza nell'uomo, ma anche gioia intesa come pienezza vitale; non si trattava di un amore platonico, bensì presentava accese note sensuali. Amore si identificava con "cortesia": solo chi era cortese poteva amare "finamente" e viceversa. Esso era inteso come un gioco aristocratico e raffinato, che rappresentava un modo per evadere dalla realtà.
I poeti siciliani non usarono la lingua d'oc, come i poeti provenzali, bensì il volgare siciliano. Questo fu un siciliano "illustre", ovvero purificato dai suoi tratti più municipalistici e nobilitato dal rapporto con le lingue auliche( dal latino aula, riferito ad un cortile esterno, e dal greco aulikos che vuol dire corte. Quindi le lingue auliche furono le lingue raffinate e degne di ammirazione che vennero usate nelle corti) di quel periodo: il latino e il francese. Questa particolarità era dovuta anche agli spostamenti della Magna Curia, che seguendo l'imperatore nelle sue campagne, non poteva prendere un solo dialetto locale (ad esempio ci sono delle differenze, anche se non esagerate, tra il catanese e il palermitano).
La poesia siciliana era destinata alla lettura per questo si rinunciò all'accompagnamento musicale, introducendo così il sonetto, un breve componimento poetico(da sonet, piccolo suono) che diventò il modo per eccellenza di fare poesia. Nell'articolazione stilistica e metrica predominarono l'endecasillabo( è il verso in cui l'accento si trova sulla decima sillaba) e il settenario( è il verso in cui l'accento si trova sulla sesta sillaba). La poesia si allontanò dalla realtà e si immerse in un contesto rarefatto e astratto.
L'amore era trattato sia da un punto di vista teorico (cos'è e quali sono le sue caratteristiche ed effetti) sia come un omaggio alla dama. Veniva lodata la donna per la sua bellezza, le sue doti fisiche, spirituali e intellettuali; veniva paragonata ai fiori, alle stelle e alle pietre preziose ed era vista quasi come una divinità, motivo per il quale ci fu un conflitto tra la Chiesa e questi poeti e di questo il poeta provava un senso di colpa.
L'uomo si presentava come un umile servitore, in un atteggiamento di inferiorità senza chiedere nulla in cambio. La devozione alla donna ingentiliva l'animo. Per tutelare il suo onore dai "malparlieri" non si usava chiamarla con il suo vero nome (senhal).