arabera Dani Falciano 2 years ago
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Honelako gehiago
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Parafrasi Discorsiva
Rosa fresca profumatissima, che compari verso l’estate, le donne ti desiderano, sia le ragazze, sia quelle sposate: toglimi da questi fuochi, se è nella tua volontà; per colpa tua non ho pace notte e giorno, pensando sempre a voi, o donna mia.
Se ti tormenti per me, te lo provoca la pazzia. Potresti arare il mare, seminare ai venti, accumulare tutti quanti gli averi di questo mondo; non potresti, invece, avere me in questo mondo; prima mi toglierei i capelli (mi farei suora).
Se ti tagliassi i capelli, vorrei prima morire, poiché con essi perderei la gioia e il piacere. Quando passo di qui e ti vedo, rosa fresca dell’orto, mi doni sempre un grande piacere: facciamo in modo che il nostro amore si congiunga.
Non voglio che mi piaccia che il nostro amore si congiunga: se ti trova qui mio padre con gli altri miei parenti, stai attento che non ti raggiungano questi veloci corridori. Come ti sembrò una cosa buona venire qui, ti consiglio di fare attenzione alla partenza.
Se i tuoi parenti mi trovano, che cosa mi possono fare? Vi assegno una multa di duemila augustali: tuo padre non mi toccherebbe per tutti gli averi che possiede la città di Bari. Viva l’imperatore, grazie a Dio! Comprendi, bella, quello che io ti dico?
Tu non mi lasci vivere né alla sera né al mattino. Io sono una donna che possiede monete d’oro, d’oro massamotino. Se mi donassi tanti beni, quanti ne ha il Saladino, e in aggiunta quanti ne ha il Sultano, non potresti toccarmi su una mano.
Sono molte le donne testarde, e l’uomo con le parole le domina e le convince: tanto l’incalza tutto intorno, fino a che non ce l’ha in suo potere. La donna non può fare a meno dell’uomo: stai attenta, bella, di non doverti pentire.
Che io mi dovessi pentire? Possa io piuttosto essere uccisa che qualche buona donna sia rimproverata per causa mia. Tempo fa, sei passato di qui, correndo a gambe levate. Prenditi un po’ di riposo, canterino: le tue parole non mi piacciono per niente.
Quanti sono i dolori che mi hai messo nel cuore, anche solo a pensarci di giorno quando esco! Non ho ancora mai amato tanto una donna di questo mondo, quanto amo te, rosa desiderata: credo proprio che tu mi sia stata destinata.
Se ti fossi stata destinata, cadrei in basso, poiché con te le mie bellezze sarebbero sprecate, mal riposte. Se tutto questo mi succedesse, mi taglierei le trecce, e diventerei consorella in un convento, prima che tu tocchi il mio corpo.
Se tu diventi consorella, donna dal viso luminoso, vengo al convento e mi rendo un confratello: lo farei volentieri, per averla vinta su di te con una prova tanto notevole. Starei con te la sera e la mattina: bisogna che io ti tenga in mio potere.
Ahimè, povera infelice, com’è crudele il mio destino! Gesù Cristo, l’Altissimo è proprio arrabbiato con me: mi ha concepita per incontrare un uomo empio. Cerca in tutta la Terra che è molto grande, troverai una donna più bella di me.
L’ho cercata in Calabria, Toscana e Lombardia, in Puglia, a Costantinopoli, Genova, Pisa e in Siria, in Germania e a Baghdad e in tutto il Nordafrica: qui non ho trovato una donna altrettanto gentile, per cui ti ho assunta come mia signora.
Poiché ti sei tanto tormentato, ti faccio la mia preghiera di andare domani da mia madre e mio padre a chiedermi in sposa. Se degnano di darmi in sposa a te, portami in chiesa e sposami davanti a tutti; e poi obbedirò ai tuoi desideri.
Di ciò che tu dici, vita mia, niente ti serve, perché delle tue parole non ne parlo neanche più. Pensavi di mettere le penne, invece ti sono cadute le ali; e ti ho dato il colpo di grazia. Dunque, se puoi, rimani una contadina.
Non mi incuti timore di nessuna macchina da guerra: me ne sto in questa gloria di questo imponente castello; considero le tue storie meno di quelle di un bambino.
Se tu non ti levi di torno e te ne vai di qui, anche se tu giaci morto, ciò mi piace molto.
Linguaggio popolaresco, semplice, elementare.
Riservata ad un pubblico di modesta cultura.
Nel cuore nobile l’amore trova sempre riparo, come l’uccello nel bosco torna fra il verde; la natura non creò l’amore prima del cuore nobile, né il cuore nobile prima dell’amore: non appena fu creato il sole, subito lo splendore risplendette, e non risplendette prima della creazione del sole e l’amore prende posto nella nobiltà d’animo in modo così naturale come il calore nel chiarore del fuoco.
Il fuoco dell’amore si accende nel cuore nobile come le proprietà positive in una pietra preziosa, in cui la proprietà non discende dalla stella prima che il sole la renda una cosa nobile; dopo che il sole ha tirato fuori, grazie alla sua forza, ciò che in lei è vile, la stella le dà valore: così, il cuore che è stato reso eletto dalla natura, puro e nobile, è fatto innamorare dalla donna, simile alla stella che lo irradia.
L’amore dimora nel cuore nobile per la stessa ragione per la quale il fuoco sta in cima alla torcia; lì, chiaro e sottile, splende a suo piacimento; non gli si adatterebbe un altro modo di essere, dal tanto che è indomabile. L’indole cattiva dell’uomo non nobile invece va contro l’amore, come fa l’acqua, essendo fredda, con il fuoco, che è caldo. L’amore prende dimora nel cuore nobile, come in un luogo che gli è simile, come il diamante nel minerale del ferro.
Il sole colpisce il fango per tutto il giorno: eppure, esso resta vile e il sole non perde il suo calore; dice l’uomo superbo: “Sono nobile di stirpe”; lo paragono al fango, (paragono, invece) al sole la vera nobiltà: perché non si deve credere che la nobiltà risieda al di fuori del cuore, nella dignità ereditata, se non si ha un cuore nobile incline alla virtù, come l’acqua si lascia attraversare dal sole ed il cielo contiene le stelle e la loro luminosità.
Dio creatore splende nell’intelligenza angelica più di quanto risplenda il sole ai nostri occhi: essa conosce il suo creatore al di là del suo moto celeste e, facendo girare il cielo, comincia ad ubbidirgli; e allo stesso modo che subito segue il giusto compimento del disegno di Dio, così in verità la bella donna, dopo che risplende agli occhi del suo innamorato, dovrebbe ispirargli tal desiderio di non staccarsi mai dall’obbedienza a lei.
Quando la mia anima starà davanti a Lui, Dio mi dirà: “Che presunzione hai avuto? Hai attraversato il cielo e sei giunto fino a me e hai preso me come termine di paragone per un amore vano: perché le lodi si addicono solo a Me e alla regina del vero regno (la Madonna), grazie alla quale svanisce ogni inganno”. Potrò rispondergli: “Aveva l’aspetto di un angelo del Tuo regno; non commisi un peccato, se indirizzai a lei il mio amore”.
E' considerata manifesto dello Stilnovismo
Temi: Nobiltà d'animo e Gentilezza
Chi è questa donna che avanza in modo tale che ogni uomo la guarda con ammirazione e che fa tremare l’aria con la sua luminosità e conduce con sé l’amore (fa innamorare inevitabilmente tutti coloro che la contemplano), tanto che nessun uomo è in grado di parlare, ma tutti sospirano?
O Dio, lo dica Amore che cosa sembra questa donna quando gira gli occhi, perché io non riuscirei a raccontarlo: mi sembra una donna a tal punto incline all’umiltà, che ogni altra rispetto a lei la considero sdegnosa.
Non si potrebbe descrivere la sua bellezza, che è tale che di fronte a lei si inchina ogni nobile virtù e la bellezza la indica come sua dea.
Le nostre capacità mentali non furono mai così elevate e in noi non fu mai posta tanta grazia divina da riuscire ad averne adeguatamente conoscenza.
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Ahimè, ora è tempo di grande sofferenza per ogni uomo che ami davvero la giustizia, tanto che mi meraviglio che egli possa in qualche luogo (“u'”) trovare conforto, e che il pianto e il lutto (“corrotto”) non l’abbiano già ucciso (“morto”), vedendo la nobile Firenze sempre florida (granata) e l’illustre tradizione dell’antica Roma che certamente moriranno (“pèr”) – crudeltà davvero ingiusta (“crudel forte villano”) – se non vengono al più presto salvate: poiché la sua grandezza ricca e onorata e il suo prestigio sono già del tutto svaniti, e il valore e la potenza si allontanano da lei. Ahimè, quando si è mai sentito di una così terribile rovina? Dio, come hai potuto sopportare che la giustizia soccomba e l’ingiustizia trionfi?
Ci fu così tanta grandezza nella (“ella”) ormai decaduta Firenze, finché fu leale verso sé stessa, che aveva il prestigio di una città imperiale, conquistando per mezzo della sua grande potenza molti (“mante”) possedimenti e città, sia vicini che lontani; e sembrava che volesse costituire un proprio impero, come già aveva fatto l’antica Roma, e le era facile riuscirci perché nessuno poteva sconfiggerla.
E sicuramente questo ruolo era per lei meritato, perché non si affaticava tanto per il suo vantaggio (“per pro”) quanto per mantenere la giustizia e la quiete (“poso”); e poiché le fu (“folli”) gradito comportarsi in questo modo progredì tanto che non esiste angolo al mondo dove non risuonasse la fama del leone (metafora di Firenze).
Ahimè, ormai non è più un leone, perché vedo che gli sono stati strappati le unghie, i denti e il coraggio, e che i suoi più nobili cittadini sono stati uccisi con dolore o crudelmente imprigionati con grande ingiustizia.
E chi gli ha fatto questo? Proprio quelli che sono nati e discesi dalla sua nobile stirpe, che sono stati allevati da lui (“il leone-Firenze”) e posti sopra tutti gli altri, collocati in posizione di privilegio; e per la posizione elevata in cui furono messi insuperbirono (“ennantir”) al punto che lo ferirono con un colpo quasi mortale; ma Dio concesse al leone la guarigione e il leone concesse ai suoi cittadini traditori il perdono; questi lo ferirono una seconda volta, ma lui fu generoso e evitò di ucciderli: ora, infine, hanno conquistato lui e il suo corpo.
L’illustre Comune di Firenze è stato conquistato, e ha scambiato i ruoli col Comune senese a tal punto che tutta la vergogna e la rovina che Firenze, come sanno tutti gli Italiani, ha sempre dato a Siena,
ora Siena la restituisce a Firenze, togliendole ogni onore e vantaggio: poiché ha sconfitto con la forza Montalcino, ha assoggettato Montepulciano, e dalla Maremma riceve i simboli della sottomissione (“la cervia e ‘l frutto”);
Siena ormai considera suoi domìni Sangimignano, Poggibonsi, Colle Val d’Elsa, Volterra e la campagna (“paiese”) circostante; si è impossessata anche dei simboli della potenza fiorentina: la campana di guerra, gli stemmi di Firenze, le armi, gli onori, con tutti gli aspetti positivi che a questi simboli erano legati. E tutto questo accade a causa di quella famiglia che è la più folle fra tutte, gli Uberti.
È folle infatti chi evita il proprio vantaggio e cerca la propria rovina, e fa sì che la propria onorevole condizione diventi vergognosa, e che dalla bella libertà nella quale vive piacevolmente si riduce, con gran suo danno, sotto un dominio crudele e malvagio, e fa diventare suo signore il suo peggior nemico. Parlo a voi che vivete ora in Firenze, dato che ciò che è successo sembra che vi piaccia (“v’adagia”); e poiché avete i soldati tedeschi in città, serviteli bene e fatevi mostrare le loro spade con cui vi hanno ferito il viso e con cui hanno ucciso i vostri padri e i vostri figli; e poiché fare ciò fu per loro molto faticoso è giusto che dobbiate dare loro tanto del vostro denaro.
Donate tanto denaro e grandi gioielli ai conti Guidi, agli Uberti e alle altre famiglie che vi hanno portato a tanto onore che Siena ora è in vostro dominio (nota: tutta la frase è ironica, come pure le successive, ed è da intendersi il significato opposto); adesso Pistoia, Colle Val d’Elsa e Volterra fanno sorvegliare le vostre fortezze a loro spese; e il conte Aldobrandino di Soana possiede la Maremma e le sue campagne; Montalcino è così al sicuro da non aver bisogno di mura, Pisa ha timore del castello di Ripafratta, Perugia ha persino paura che le sottraiate il lago Trasimeno, e Roma vuole allearsi con voi. Sembra dunque che abbiate ottenuto onore, dominio e ogni vantaggio: potete fare ciò che desideravate, cioè essere sovrani dell’intera Toscana.
Nobili settentrionali, romani, meridionali, toscani, romagnoli, marchigiani: Firenze, fiore che sempre rifiorisce, vi chiama alla sua corte, perché vuole diventare signora di Toscana, ora che ha sconfitto con la forza i Tedeschi e i Senesi.
Argomento della canzone è la sconfitta subita a dai fiorentini di parte guelfa,, a opera degli esuli ghibellini. In essa il poeta esprime il proprio dolore per la sconfitta, che non significò solo per Firenze la caduta della repubblica guelfa e l’inizio di un governo ghibellino, ma il trionfo del ghibellinismo in Italia.
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Parafrasi
Io mi sono ripromesso di servire (essere fedele a) Dio,
così da poter andare in Paradiso,
in quel luogo santo di chi cui ho sentito parlare,
dove eternamente durano il piacere, il divertimento e l’allegria.
Non vorrei andarci senza la mia donna,
che ha i capelli biondi e la carnagione chiara,
senza di lei non potrei gioire,
essendo diviso dalla mia donna.
Ma non lo dico con lo scopo
di voler peccare con lei,
ma solo perché vorrei ammirare il suo comportamento virtuoso,
e il suo bel viso e il suo sguardo soave,
per me sarebbe (considererei) una grande consolazione,
vedere la mia donna nella gloria di Dio.
l'autore è Iacopo da Lentini
Iacopo Lentini, detto "il Notaro", fece il notaio presso la corte di Federico II ,visse tra il 1210 e il 1260. Inventore del SONETTO. Fu il poeta più noto della scuola Siciliana.
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L’omaggio alla donna amata si arricchisce di una religiosità che sembra quasi un processo di divinizzazione della figura femminile.
e totalmente assenti sono i riferimenti al desiderio erotico, alla dimensione carnale del rapporto amoroso
Il sonetto si apre con la volontà del poeta di servire Dio. Nella seconda strofa parla della sua donna amata e di come non potrebbe vivere senza di lei neanche in paradiso
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Temi: Servizio d'amore: uomo servo della donna, ma ha timore a rivelare il proprio amore L'amore è fonte di benessere, ma anche di sofferenza. Il dolore è sia per il rifiuto che per la lontananza che per il rimpianto La donna possiede tutte le virtù (fisiche e spirituali) e come tale va lodata Non si conosce la vera identità della donna. La poesia non ha riferimenti alla realtà, non è intima e soggettiva del poeta, è una poesia stereotipata: un modo di fare poesia
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Altissimo, onnipotente, eccellente Signore Dio, sono Tue le lodi, la gloria e l’onore ed ogni benedizione; a Te solo, Altissimo, si addicono, e nessun uomo è degno di nominarTi. Sii lodato, mio Signore insieme a tutte le Tue creature, specialmente il signor fratello Sole, il quale rappresenta la luce del giorno e Tu ci illumini per mezzo di lui. Ed egli è bello e luminoso, emettendo un grande splendore: porta testimonianza di Te, Altissimo. Sii lodato, mio Signore per / attraverso sorella Luna e le stelle: in cielo le hai create, luminose e preziose e belle. Sii lodato, mio Signore, per fratello Vento e per l’aria e per il cielo nuvoloso e sereno e per ogni tempo attraverso il quale offri sostentamento alle Tue creature. Sii lodato, mio Signore, per sorella Acqua, la quale è molto utile e umile e preziosa e pura. Sii lodato, mio Signore, per fratello Fuoco, attraverso il quale illumini la notte: ed egli è bello e piacevole e robusto e forte. Sii lodato, mio Signore, per la nostra sorella e madre Terra, la quale ci sostiene e ci nutre, e produce diversi frutti con fiori colorati ed erba. Sii lodato, mio Signore, per coloro che perdonano per il Tuo amore e sopportano malattie e dolori. Beati quelli che li sopporteranno in pace, perché saranno glorificati da Te, Altissimo. Sii lodato, mio Signore, per la nostra sorella Morte fisica, alla quale nessun uomo vivente può sfuggire: guai a quelli che moriranno nel peccato mortale; beati coloro che la morte coglierà nelle Tue santissime volontà, poiché a costoro la morte spirituale non farà del male. Lodate e benedite il mio Signore e ringraziateLo e serviteLo con grande umiltà.
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è una LAUDA, (genere di poesia che canta le lodi di Dio e le sue creature, predicando la pace e l'amore per il prossimo)
Il Cantico esprime con semplicità l'ammirazione per la bellezza del creato, esorta alla pace, al perdono e all'accettazione della sofferenza, che purifica e conduce alla beatitudine eterna.
Scritta in VOLGARE UMBRO, per essere compresa dal POPOLO
è considerato il primo testo letterario scritto in volgare